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Squallida Chiesa in squallido Stato


“Ben poco ci chiedono i nostri morti”, scriveva Piero Calamandrei, ricordando il sacrificio degli italiani che si erano trovati di fronte ad una tragica alternativa, nel 1943 e dintorni, per restituire all'Italia libertà, democrazia, dignità. Arriva la festa della Repubblica, il due giugno, ed è passata da poco quella della Liberazione, che il pubblicitario di Arcore vorrebbe chiamare della “libertà”, così, in generale, come la festa della mamma. Già si discute del prossimo anniversario, i 150 anni di questo strano paese chiamato Italia.
Ma c'è poco da celebrare.
Sarebbe estremamente interessante poter sentire i giudizi degli “eroi del Risorgimento” sulla Terra dei Cachi, un secolo e mezzo dopo. Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II. Un quartetto di giganti, nessuno immune da critiche, ma tutti all'altezza del compito storico, enorme.
L'unico re Savoia degno di essere ricordato probabilmente tacerebbe, schifato dalla miseria dei suoi successori, che hanno seguito alla lettera la parabola “dalla tragedia alla farsa” (Karl Marx, “Il 18 brumaio di Luigi Napoleone”). Lasciamolo riposare in pace, altrimenti gli toccherebbe fare l'ospite a “Ciak, si canta”.
Mazzini potrebbe constatare che l'Italia, tutto sommato, è “una, libera, indipendente, repubblicana”, come auspicava: le sue aspettative fondamentali sono state realizzate. Di sicuro non riuscirebbe a trovare eredi, lui definito da Metternich “pallido e cencioso”, negli sgargianti politici contemporanei, perennemente colorati dal cerone sotto i riflettori della TV con i loro abiti firmati (e sotto il vestito, niente). Ricorderebbe severamente a tutti noi che “esigere i propri diritti è un dovere”, vista la passività che c'è in giro. E probabilmente giudicherebbe Berlusconi un usurpatore borbonico.
Il povero Garibaldi, passato dagli altari craxiani alla polvere dei leghisti (e non solo), dovrebbe difendersi dall'accusa reiterata di aver unito le due Italie del nord e del sud con lo spago di un'avventura militare di successo. Resta da dimostrare quale altra strada si poteva percorrere, vista la facilità con cui cadde il Regno delle Due Sicilie. Ma sarebbe pura accademia (vedi “No, la questione meridionale no”).
E veniamo a Cavour, in questo pezzo il personaggio più interessante, almeno per le sue due frasi più celebri (la prima è in realtà di Massimo d'Azeglio, ma così ci venne tramandata alle elementari): quella del “fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani” e quella, ricordata come epitaffio, “Libera Chiesa in libero Stato”.
Sulla pedagogia nazionale (“fare gli italiani”) si sono esercitati in tanti. Un tempo si cresceva col libro “Cuore”, tutto Patria e famiglia, eroismo e buoni sentimenti. De Amicis era l'alfiere dell'Italia postrisorgimentale, quella dei nostri (bis) nonni, che si ritrovò nella Grande Guerra (1915-1918) senza sapere esattamente perché. Poco si è saputo delle decimazioni nell'esercito, dei 350mila casi di insubordinazione e diserzione, di tanta povera gente che non voleva partecipare all'”inutile strage” (Benedetto XV).
Al contrario. Sulle ceneri della “vittoria mutilata”, Mussolini ci voleva guerrieri a tutti i costi, conquistatori imperiali, militarizzati fin dall'infanzia. Il fascismo rappresenta la più assurda pedagogia di regime che si sia mai vista, con la terribile conseguenza della guerra come continuazione della politica di potenza.
La Resistenza , se fu guerra civile, lo fu per non dover mai più imbracciare un fucile. Non a caso i partigiani si richiamavano al Risorgimento, consapevoli di lottare per costruire un' Italia che non c'era. Il Risorgimento e la Resistenza. I due miti fondanti dell'Italia. Come tutti i miti, non privi di retorica e , come tutte le retoriche, di una certa dose di ipocrisia.
I critici dicono: furono fenomeni di minoranza, riguardarono le élites. Nel caso del Risorgimento,
indubbiamente. Nella Resistenza, mica tanto. Un esercito di 350mila combattenti è per forza un esercito di popolo, secondo solo, all'epoca, a quello jugoslavo, comunque fra i più grandi movimenti partigiani in Europa. E la maggioranza della gente sicuramente non stava con gli occupanti nazisti (un padre ufficiale prima e partigiano poi rappresenta un'ottima fonte).
In ogni caso, nel concetto di “maggioranza degli italiani” tornano in scena, prepotentemente, i cattolici. E quindi veniamo alla seconda frase di Cavour, la “libera Chiesa nel libero Stato”.
Il conte Camillo Benso anticipava di quasi un secolo l'articolo 6 della nostra Costituzione, peraltro piuttosto discusso. L'Italia dell'unità era opera di forze laiche, in certi casi anticlericali, in buona parte massoniche.
Fumo negli occhi ancora oggi per i cattolici reazionari stile Comunione e Liberazione, Opus Dei e tanti altri, che vorrebbero sdoganare persino Pio IX e le sue condanne all'orribile modernità democratica. Il primo tentativo di accordo con lo Stato, la famosa “Legge delle Guarentigie” (1871), fu sprezzantemente rifiutato dal Vaticano: il papa non voleva usare nemmeno l'aggettivo “italiano”, parlava di uno stato “subalpino” (forse era un paleoleghista e non lo sapeva).
Certo, sul concetto di democrazia, sul tema eretico del suffragio universale, le sue posizioni non erano poi così distanti da quelle di gran parte dei nostri rappresentanti politici.
Il popolo doveva rimanere popolino, le masse andavano guidate con mano ferma e sicura dalla casta degli illuminati. Non parliamo poi del fatto che le donne potessero contare in politica come gli uomini e quindi avere il diritto di voto: un'autentica bestemmia. Se il fascismo poté attecchire e stabilizzarsi, con la semplice aggiunta della coreografia populista, è perché alle élites più o meno laiche che avevano comandato fino ad allora e alle gerarchie ecclesiastiche Mussolini e la sua rivoluzione conservatrice andavano più che bene.
L'Italia sarebbe stata fascista e cattolica e monarchica.
Ma le cose, lo sapete, sono andate in modo diverso. Dalla Resistenza in poi, a “fare gli italiani” ci avrebbero pensato i partiti, a partire dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista, giù giù fino al Partito Radicale.
L'avanzamento democratico è stato enorme, per almeno quattro decenni, in termini di diritti individuali, di riscatto sociale, di avanzamento economico ed emancipazione sessuale, anche se con storture, contraddizioni, errori, porcate.
Agli inizi degli anni Ottanta, perfino Cavour probabilmente avrebbe ammesso che adesso erano stati creati anche gli italiani. E allora? Be', riducendo tutto ad una battuta, si può dire che “a noi è l'abbondanza che ci ha rovinato” (magari con la voce di Alberto Sordi di “Un giorno in pretura”).
E qui torniamo alla “libera Chiesa in libero Stato”. L'anno è il 1984. L'uomo politico è Craxi, all'apice della sua potenza o quasi.
Nello stesso periodo, il governo italiano “sdogana” il monopolio privato sull'etere di Silvio Berlusconi e sigla il nuovo Concordato con la Chiesa. Gran parte dell'attuale decadenza morale nasce da lì.
L'accordo che sostituisce i Patti Lateranensi (firmati da Mussolini nel 1929) istituisce l'otto per mille delle imposte da destinare al Vaticano (allargato poi anche ad altre confessioni); e la Curia pensa bene di affidare il monopolio di questo bendiddio alla Conferenza Episcopale Italiana..
Quasi nessuno coglie, allora, la portata dei due eventi. Il business privato si salda con lo Stato nel controllo dell'informazione (Rai-Mediaset) e la Chiesa , grata dell'obolo forzato, spalma il suo cloroformio sul popolo: sono gli anni del consenso, il conflitto non esiste più, ormai siamo la quinta potenza economica della Terra, abbiamo il campionato di calcio più bello del mondo, una televisione leggera, colorata e sexy, va tutto per il meglio nel migliore dei mondi possibili.
I nuovi italiani sono cattolici “light”, quel tanto che basta ad alimentare la tradizione, e quindi lo scialo consumistico che sta intorno a matrimoni, comunioni, cresime e battesimi (e perché no, funerali). In molti casi si potrebbero definire tranquillamente “post-cattolici”. Sono già berlusconiani dentro, senza saperlo. Ma a Monsignor Ruini va bene così, con le chiese più vuote e le casse più piene, in fin dei conti quel conformismo un po' idiota è meglio delle rogne post-conciliari e delle teologie della Liberazione (roba da poveri).
Comunque, guai a far trapelare gli scandali che possono indebolire la forza e il carisma di Santa Madre Chiesa, soprattutto se riguardano la sfera sessuale: i panni sporchi si lavano in famiglia.
Allo stesso modo, i “servitori dello Stato” laicamente piegano la verità alla presunta saldezza delle istituzioni, alla “sicurezza nazionale”, ai segreti, appunto, di Stato: il popolo non può capire, ci sono cose che vanno sottratte al pubblico giudizio, soprattutto le odiose intercettazioni telefoniche dei magistrati.
E' incredibile quanto siano diventate speculari queste due visioni (ma forse lo sono sempre state, basta pensare al divo Andreotti); è stupefacente vedere come si sono avvicinate, fino a sovrapporsi, le cosiddette “due sponde del Tevere”. Oggi più che mai.
Il governo meno cattolico di tutti i tempi (nella sostanza, non certo a parole), zeppo di corruttori, puttanieri, faccendieri della Camorra e quant'altro, si stringe nell'abbraccio con la Chiesa : sono entrambi nella bufera, e siamo solo all'inizio.
Berlusconi se potesse si darebbe il titolo di “defensor fidei” come il mitico Enrico VIII..
Papa Ratzinger sbaglia l'ennesima mossa del suo disastroso pontificato, elogiando Bertolaso che si fa massaggiare dalle brasiliane in cambio di favori, col suo sodale Balducci, gentiluomo del Vaticano, che in barba alla famiglia cerca giovani coristi per le sue voglie, speculando insieme a “don Bancomat” e al costruttore Anemone: d'altra parte, la “cricca” si è formata ai tempi dei lavori per il Giubileo, fra il profumo di incenso e quello dei soldi, con il grande cerimoniere e mediatore Gianni Letta, altro gentiluomo del Vaticano.
Dio mio, come siamo caduti in basso, direbbe la famosa casalinga di Voghera. E come lei, tanti altri cattolici che cominceranno a destinare l'otto mille ad un'altra confessione, fra qualche settimana. Anche perché, in mancanza di indicazioni, (è bene ricordarlo), i soldi se li piglia Tremonti, insieme a quelli extra che ci chiederà fra poco. Nella Terra dei Cachi, ovvero squallida Chiesa in squallido Stato, il giusto paga sempre per il peccatore.
Cesare Sangalli