A Carnevale ogni scherzo vale.Un parlamento di morti viventi raggiunge lo zenit del grottesco qualificando la telefonata di Berlusconi alla questura di Milano per salvare la marocchina Ruby come un tentativo di “evitare una crisi diplomatica” con l'Egitto. Difficile immaginare una distanza più grande fra l'eroica domanda di democrazia degli egiziani (mentre infuria la tragedia libica dell'amico Gheddafi, il massacratore) e la vergognosa sazietà (leggi: crapula) dei rappresentanti della democrazia italiana (se si può ancora definire così).
Abbiamo visto come regimi considerati di acciaio possono crollare in poche settimane, o addirittura in pochi giorni. Ma quello di Berlusconi è uno strano regime, perché l'accentramento di potere si è svolto all'interno di una cornice democratica, e si è andato a sovrapporre al regime partitocratrico che lui fingeva di voler cambiare. Volendo usare una metafora, è come una matrioska: il cuore è rappresentato da una sola persona, ma gli involucri che stanno intorno sono molti, sempre più grandi, fino a coprire gran parte dello Stato e della società.
Come abbiamo scritto precedentemente, quando si tornerà a parlare di mafia la metafora apparirà più chiara: sul sistema di collusione garantito dalla DC, e mai intaccato veramente dall'opposizione comunista, si è innestato direttamente quello garantito da Forza Italia, mai affrontato di petto dal PD. Basta dire che le risposte reticenti e imbarazzate sulla trattativa Stato-mafia di Luciano Violante e Nicola Mancino, all'epoca (1992 – 1993) presidente della Commissione antimafia e ministro dell'Interno, oggi insieme nel PD, si uniscono perfettamente alle condanne di Dell'Utri, che garantì l'ingresso trionfale della mafia nella nascente Seconda Repubblica.
Allargando il quadro, basta considerare gli ex (democristiani, socialisti, comunisti, liberali, repubblicani, radicali, verdi e quant'altro) presenti in entrambi gli schieramenti, pro e contro Berlusconi. I percorsi, a volte davvero acrobatici (basterebbe citare Marco Pannella), fra l'uno e l'altro polo, testimoniano la natura ampia del regime e ricordano da vicino, se ci pensate, le transumanze con ritorno fra RAI e Mediaset. Non è un caso.
Il vero cuore del berlusconismo, la scatola nera del regime, è dentro la televisione, è la televisione.
Si può tranquillamente scommettere oggi che, seppure questo governo non finirà la legislatura, e seppure il prossimo capo del governo sarà espressione del centrosinistra (Vendola o Bersani), la riforma del sistema televisivo sarà l'ultimo passaggio che vedremo.
Il tramonto mediatico del berlusconismo, per quanto annunciato, è assai di là da venire. Si farà una nuova legge elettorale, si farà una legge sul conflitto di interessi (a eterna memoria, dato il ritardo epocale), cadrà una buona parte di questa classe dirigente, ma la riforma televisiva continuerà ad essere lontana come un miraggio.
Nessuno sa veramente come uscire dal berlusconismo, questa è la semplice, amara verità. Ecco perché, nonostante tutti gli scandali, nonostante le cose pazzesche viste negli ultimi mesi (e anni) sembra tutto così immobile.
Se Vendola dicesse, per esempio: “Venderò due delle tre reti di Berlusconi, venderò un canale RAI, ne farò uno senza alcuna pubblicità, pagato solo dal canone, affiderò la gestione del servizio pubblico ad un organismo indipendente, la cui durata prescinderà totalmente dalla durata dei governi e delle legislature”, non saremmo anche noi un po' spiazzati, quasi spaventati dal cambiamento?
In fin dei conti a questa Terra dei Cachi ci eravamo abituati. A Sanremo, a Zelig, a Santoro, a Ballarò. A Fabio Fazio, a “Matrix”. Qualcuno aggiungerebbe Carlo Conti, la Clerici , Amici, X factor, l'Isola dei Famosi, e tanta altre trasmissioni, a seconda dei gusti. Questa Italia abituata allo specchio televisivo in fin dei conti piace ancora a tanti: comoda, lontana dalle brutte realtà, un po' leggera, un po' superficiale. Ovattata. Di gomma. Spaventata dai conflitti e dalle notizie, impreparata ai cambiamenti.
Quindi, al di là della fiera di brillanti sciocchezze che si stanno scrivendo sulla fine del berlusconismo (da Ricolfi che ci informa che Berlusconi, a ben calcolare, è sempre stato votato da una minoranza – non sembrava, però - fino a Scalfari che parla ancora di Berlusconi come sicuro vincente in una competizione con tre poli, passando per Sorgi che sostiene che l'esperienza politica di Berlusconi va verso un finale tutto sommato “immeritato”- ma pensa te -), anche se è giusto ribadire l'importanza di una svolta tutta politica, di un cambio di direzione deciso dal famoso “popolo sovrano” e quindi di una “caduta” determinata dalle urne, in realtà sappiamo già che non sarà esattamente così.
La fine del berlusconismo deve passare ed effettivamente passerà dalle aule giudiziarie. La sconfitta politica non è sufficiente. Un Berlusconi all'opposizione può prolungare l'uscita dal regime all'infinito. Va espulso dalla politica e mandato in galera, fosse solo per qualche giorno, come è già successo a Previti, o per qualche anno, come si meriterebbe ampiamente. A quel punto, l'alternativa sarebbe davvero quella di fuggire ad Antigua, come un Craxi o un Ben Alì qualunque.
E solo allora si potrebbe aprire davvero una sorta di “processo di Norimberga” culturale e morale, che dovrebbe condannare, simbolicamente e non, gran parte del PD, quasi tutta l'UDC, quasi tutto “Futuro e libertà”, e tanti altri complici del più corrotto e squallido ventennio (ma possiamo dire trentennio) della repubblica.
Un processo anche storico e generazionale, perché le icone da salvare, dal 1982 (il nostro anno simbolico di riferimento come fine della Prima Repubblica) in poi, sono davvero poco numerose.
E' il processo nazionale che non si è fatto veramente dopo Tangentopoli, e che ci aspetta con pazienza da troppo tempo, da troppa storia parallela, oscura, conosciuta un po' da tutti eppure sempre priva di conseguenze, dalle stragi impunite ai fatti di Genova, da Andreotti mafioso conclamato ma ancora celebrato e riverito fino a Berlusconi sostenitore dell'eroe Mangano.
La verità non verrà dalle urne, meglio non farsi illusioni. Ora che perfino Bersani, per pura forza di inerzia, vince nei sondaggi contro Berlusconi (e infatti il giochino sulle elezioni anticipate ora si fa a parti rovesciate, rispetto solo a sei mesi fa), comincia a diventare troppo facile cavarsela con una vittoria elettorale (oltretutto, un “ déjà vu ”) .
Con tutto il rispetto della politica e della volontà popolare, che cominci la stagione dei processi. Berlsuconi che perde le elezioni lo abbiamo già visto. Lo vogliamo vedere portato di forza davanti al giudice e condannato, davanti a tutti, in nome del popolo italiano.
Cesare Sangalli