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Onda su onda


Partirono in due ed erano abbastanza. Le primarie, il referendum, e molta fantasia. Usiamo Venditti (“Bomba o non bomba”) per rileggere al contrario la bellissima vittoria nei referendum di giugno.
Rileggere al contrario perché il senno di poi, oltre a riempire le fosse, risulta sempre un po' effimero. E conformista. E siccome il senno di poi va piano (perché arriva sempre dopo), non va mai molto lontano.
Quindi, è corretto ma troppo facile scrivere adesso, come fa il bravo Gramellini, che è stata “una vittoria senza padri”. Perché anche fra i nostri criticatissimi leader politici qualcuno la faccia e l'impegno ce l'avevano messo illo tempore (da quel dì, per chi non ama il latino). Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. I due a cui è dedicato l'attacco in apertura.
Stranamente, a Di Pietro, che pure è stato umile nella vittoria, il successo glielo hanno tributato praticamente tutti. A Vendola manco “il Manifesto” (Norma Rangeri ha scritto “solo Di Pietro ha lavorato e creduto nella vittoria”).Eppure “Repubblica” aveva scritto che, se il quorum fosse stato raggiunto, per Vendola sarebbe stato “un trionfo”, salvo poi dimenticarselo completamente a cose fatte.
Si potrebbe obiettare: ma come, questa è stata la vittoria del popolo, della società civile, contro tutto e contro tutti. La vittoria di Internet contro le Tv, più o meno di regime. La vittoria della voglia di partecipazione contro l'apatia, della spinta al cambiamento contro l'immobilismo.
Tutto vero e tutto giusto. Ma questo è sotto gli occhi di tutti, e in questa rubrica era una previsione, un anno fa (vedi “In principio fu l'acqua”). Fa benissimo Concita De Gregorio a ricordare le tante tappe di questo cammino, i tanti movimenti (gli studenti, i precari, le donne, e prima ancora il popolo viola e altro) che hanno lentamente spostato l'asse della politica.
Però le congratulazioni di tanti altri che non c'erano suonano un po' stonate, alla fine. Per capirlo, basta vedere il finale di molti commenti del giorno dopo. Quello di Gramellini su tutti: dopo avere fatto l'elogio del popolo, dice che, “ironia della sorte”, i nomi dei leader necessari a coagulare il “magma rovente” della ribellione, “da Casini, a Matteo Renzi a Rosi Bindi – sono tutti democristiani. Come se questo Paese non potesse essere nient'altro, nel bene e nel male”.
Ezio Mauro conclude il suo lungo editoriale su “Repubblica” dicendo che sarà la Lega , come nel 1994, a staccare la spina. Tralasciamo Calabresi (“ La Stampa ”), che ancora non vede i contorni di un progetto alternativo, e Polito (“Corriere della Sera”), che ci avverte, bontà sua, che “una cosa è vincere i referendum, un'altra le elezioni per il governo del Paese”. Perfino Norma Rangeri chiude dicendo che la terza tappa sono le dimissioni di Berlusconi, e “dopo, tutti al mare”.
Con tutta la stima per lei e per “Il Manifesto”, verrebbe da dire (scusate la volgarità): tutti al mare un cazzo.
Come se le dimissioni di Berlusconi fossero lì, a portata di mano, un'altra spintarella ed è fatta. Come se l'establishment (molto più ampio di Berlusconi) non fosse ancora del tutto intatto e compatto, a difesa del fortino. Come se tre referendum su quattro non fossero solo “difensivi”: impedire la costruzione di centrali nucleari, impedire l'ennesima legge ad personam, impedire la privatizzazione forzata delle società miste.
L'unico referendum che apre davvero spiragli di futuro, squarci della politica che verrà, è il secondo sull'acqua, quello che impedisce la remunerazione garantita del capitale investito. Lì si è andati a toccare il totem del capitalismo: il profitto.
Non a caso anche chi constata la fine ormai prossima del berlusconismo è pronto a vaticinare problemi e sventure per l'Italia, se oserà abbandonare le vie tracciate negli ultimi trent'anni dal pensiero unico. E' la modernità, ci hanno spiegato, e nessuno può farci niente. E' il profitto che muove il mondo, tutto il resto sono chiacchiere.
Difficile poi non essere volgari, come sopra, nel rispondere a questi signori.
Il futuro è quello che sapranno costruire gli uomini, non i mercati. Sarà la politica a dettare l'agenda all'economia, non viceversa. E l'etica detterà l'agenda alla politica.
Non sceglieremo una cosa solo perché “conviene” (a chi, poi?), ma perché è giusta, e quindi, nel lungo periodo, conveniente per tutti. Ma non spingiamoci troppo avanti, ché i tanti realisti potrebbero spaventarsi di fronte alla potenzialità del cambiamento, che riguarderà tutto il mondo, nei prossimi decenni. Limitiamo il discorso al cortile di casa, nel breve (speriamo brevissimo) periodo.
Torniamo quindi a Vendola e a Di Pietro, cioè alla raccolta delle firme, senza la quale ovviamente non ci sarebbero stati i referendum. Quelli sull'acqua, a nostro avviso i più importanti, l'Italia dei valori all'inizio li ha condivisi solo in parte (sull'atteggiamento del PD stendiamo un velo pietoso), mentre SEL e le fabbriche di Nichi (con molti altri, per carità) si sono spese con convinzione da subito.
Il tema dell'acqua è stato fondamentale in Puglia (e non a caso la Puglia è la regione che in rapporto alla popolazione ha raccolto più firme). Vendola è stato poi criticato, anche giustamente, dai comitati, per un eccesso di prudenza (altri direbbero pragmatismo) nella gestione dell'Acquedotto Pugliese, il più grande d'Europa.
Ma in Puglia non si è infiltrata nessuna multinazionale dell'acqua, com'è successo nella Toscana e nel Lazio amministrate dal centrosinistra. E guarda caso da almeno un paio di anni nessuno scrive più dell'Acquedotto Pugliese nei termini sprezzanti di sempre, cioè come fulgido esempio di fallimento della gestione pubblica. E questo, con tutto il rispetto, si deve solo in parte alla società civile, molto più a Vendola e ai suoi. Sempre con tutto il rispetto, Beppe Grillo dovrebbe farsi un giro sul Gargano (è solo un esempio) e andare a riscuotere le multe per gli allacciamenti abusivi da gente che gira con la pistola, per rendersi conto in quale contesto Vendola deve applicare le riforme, in che condizioni di partenza deve costruire il futuro.
Partirono in due, quindi, Vendola e Di Pietro, ed erano abbastanza. L'intendenza, cioè il PD ha seguito, e seguirà. Lo spartito è segnato, e il mantra di Bersani (“noi siamo l'asse di ogni coalizione”) serve più che altro a rassicurare la nomenklatura del partito (che oscilla fra il pessimo e il mediocre; un nome per tutti, l'eterno Franco Marini che su “Repubblica” prevedeva, col suo proverbiale fiuto di politico di razza, il non raggiungimento del quorum, e già era pronto a chiedere la famosa “verifica” - cioè a rimettere in discussione la leadership di Bersani -).
Ora, dicono, facciamo il programma (è da gennaio che lo dicono), vediamo le alleanze (è da un anno che lo dicono), e finalmente faremo le primarie (è da un anno e mezzo che glielo diciamo).
Le primarie sparigliano. Mettono fine al giochino (“Con chi farete l'allenza? Chi sarà il leader?”) preferito da gran parte dei giornalisti (Bianca Berlinguer è quasi maniacale, sul punto, qualcuno le dica di smettere, ché in questo è identica a Bruno Vespa). E siccome prima o poi le primarie dovranno farle, lì vedremo chi si presenta e chi le vince. Tanto la corsa è a due, Bersani o Vendola. Noi voteremo Vendola con convinzione, ma se gli italiani preferiscono Bersani, va bene lo stesso. Tutto già detto e ripetuto.
L'unico colpo di scena potrebbe essere una nuova legge elettorale, e cioè un clamoroso ritorno al sistema proporzionale, come pronosticato da P.G. Battista (vedi articolo precedente): in effetti, è l'unica soluzione (elettorale) che potrebbe mettere d'accordo tutti. Però si devono sbrigare.
Chiusura dedicata agli italiani, in primis a quelli che non sono andati a votare. Continuate così, per favore: fatevi trascinare dagli altri. E' già tanto se smettete di fare danno, 17 anni sono parecchi, dovrebbero bastare. Parafrasando la canzone di Venditti citata in apertura: onda su onda, arriveremo a Roma. Malgrado voi. A tutti gli altri, protagonisti di un giorno che verrà ricordato a lungo: andiamo avanti. Se avete tempo, rileggete “Sunset Boulevard”, scritto tre anni fa, quando era dura essere ottimisti.
Ma onda su onda, onda su onda, siamo arrivati a Roma. Insieme a voi.
Cesare Sangalli