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L'ora di Matrix
Arrivati alla settima puntata di questa rubrica, si va in crisi di contenuti. Il filo logico si interrompe, è come se il cronista, che fa un po' lo storico del presente e del passato prossimo, entrasse in una nebulosa. Fino al catastrofico voto del 1994, tutto risulta abbastanza chiaro. Ma da lì in poi, le cose si complicano maledettamente. Mettiamola così: da dieci anni esatti a questa parte viviamo nell'era di Matrix. “Matrix”, per chi ancora non lo sapesse, è un buon film di fantascienza, diventato un culto per i giovani, che ne apprezzano l'idea di partenza (l'unica che ci interessa qui): la realtà che viviamo è solo una realtà virtuale, un'inter-faccia, come si dice nel gergo dei computer, predisposta da altri, quelli che vivono nel terrificante mondo reale del potere e del controllo. I ragazzi possono anche appassionarsi al dramma hollywoodiano, ma nella Terra dei cachi l'immagine di Matrix è solo sarcastica, e serve semplicemente a indicare che la politica (o meglio, il mondo politico) e l'informazione sono sempre più dissociati dai fatti, e viceversa.
Il risultato? Una strana ripetizione di scenari, che ricominciano identici come un videogame ossessionante, una realtà virtuale appunto. Ecco perché diventa difficile fare una ricostruzione storica e politica insieme. In dieci anni, in Italia non è successo niente (nella realtà non è così, ma questa è la versione “Matrix”). Correva l'anno 1995. Il Milan di Berlusconi perdeva in finale la Champion's League, mentre la Juve dei dopati era campione d'Italia. Dieci anni dopo, 2005: il Milan di Berlusconi perde in finale la Champion's League , mentre la Juve dei dopati è campione d'Italia. Correva l'anno 1995.
Romano Prodi, leader del centrosinistra, cercava di superare le divisioni dei partiti per
vincere le elezioni dell'anno successivo contro Berlusconi. Dieci anni dopo, 2005: Romano Prodi, leader del centrosinistra, cerca di superare le divisioni dei partiti per vincere le elezioni dell'anno prossimo contro Berlusconi. Correva l'anno 1995: Rai e Mediaset si spartivano gli ascolti televisivi, il principale programma di informazione politica era “Porta a Porta” di Bruno Vespa. Dieci anni dopo, 2005: Rai e Mediaset si spartiscono gli ascolti televisivi, il principale programma di informazione politica è “Porta a Porta” di Bruno Vespa. Per dare il via a “Matrix” ci voleva un fantasma, un personaggio politico che assorbisse la presunta dialettica destra/sinistra (visto che dal '94 siamo entrati nell'era del bipolarismo) nel vuoto che già imperava da oltre un decennio, ma che la rivoluzione (mancata) di “Mani pulite” aveva interrotto. Questo personaggio esisteva e forse esiste ancora, con un volto perfetto per la parte che gli era stata assegnata: Lamberto Dini. Con Dini, la realtà diventa reversibile, e senza bisogno delle pillole rosse e blu del film “Matrix”. Qualsiasi storico si dovrebbe chiedere perché, dopo solo nove mesi, cade il primo governo Berlusconi, che aveva addirittura superato il successo delle elezioni del 28 marzo trionfando alle europee di giugno, con Forza Italia al 30 per cento. Un compito arduo.
Bisogna spiegare l'inspiegabile. L'unico fatto di un certo rilievo in quei nove mesi fu la protesta sindacale di massa (neanche paragonabile, comunque, alla mobilitazione del 2003 sull'articolo 18) contro il ministro dell'economia del nuovo governo di destra, Lamberto Dini, soprattutto sul tema delle riforma delle pensioni. Una mobilitazione che fece tornare la voce all'opposizione di sinistra, ancora traumatizzata dalla sconfitta. Ma se quella fu la causa della crisi di governo, perché pochi mesi dopo, lo stesso ministro di destra contestato diventa capo del governo con l'appoggio esterno della sinistra, e riesce a fare davvero una riforma importante delle pensioni, niente affatto virtuale, anzi, quasi una rivoluzione copernicana? Per la prima volta, infatti, si stabiliva che la pensione sarebbe stata calcolata, per le nuove generazioni, esclusivamente sulla base dei contributi realmente versati, e non in rapporto all'ultimo stipendio ricevuto, opportunamente rivalutato, com'è stato per i nostri padri e per i nostri fratelli maggiori, quelli del '68, gli utopisti del mondo migliore che intanto si sono parati il culo lasciando ai giovani un generoso “in bocca al lupo, ma noi vi abbiamo avvertito”. E se Dini era di destra, e lo è, anche dal punto di vista antropologico, visto che è ricco di famiglia, è stato un alto dirigente del Fondo Monetario Internazionale, ed è sposato con Donatella latifondista in Costarica e frequentatrice del jet-set, perché poi ha fatto il ministro degli esteri nel governo di centrosinistra appoggiato da Rifondazione comunista? Inutile cercare spiegazioni profonde, legate ad una vera logica storica e politica. Con il cosiddetto “ribaltone” di fine '94 si entra ufficialmente in “Matrix”. Non a caso il regista nemmeno tanto occulto di quella incredibile crisi di governo fu Massimo D'Alema, e far cadere Berlusconi quando volava sulle ali del successo resta la cosa più importante che ha fatto, il suo capolavoro.
Un capolavoro assolutamente fine a se stesso, nel senso del se stesso dalemiano e di tutta la classe dirigente che rappresenta, che grazie alla politica virtuale può sopravvivere a tutto, prescindendo dai fatti, almeno fino al giorno in cui la realtà riprende il sopravvento (è successo una volta sola veramente, e infatti è stata una tragedia: a Genova, nel 2001, il fatto più importante di questi dieci anni, e per questo completamente rimosso da “Matrix”).
Lamberto Dini, quindi, ci introduce nella realtà virtuale della politica. Dal 1995 in poi, la politica in Italia si separa definitivamente dai fatti. Certo, il processo era nato negli anni Ottanta, ma c'erano due differenze fondamentali: intanto, il contesto storico mondiale era ancora bloccato sull'equilibrio della Guerra Fredda; inoltre, il tirare a campare era diventato così esplicito che le elezioni servivano solo a ridefinire la distribuzione delle poltrone (il massimo si raggiunse nel 1987, elezioni anticipate per la crisi del pentapartito, che ripartì più bello che pria subito dopo il “verdetto” delle urne). Adesso invece si simula un conflitto epocale fra destra e sinistra che poi non muta la sostanza di una virgola (solo che la destra ha esagerato in tutti i campi). Ecco perché uno come D'Alema può dichiarare, prima della sconfitta del '94, “manderemo Berlusconi a chiedere l'elemosina” e due anni dopo trattarlo come padre costituente per ristrutturare insieme la nazione. Ecco perché la Lega Nord, considerata per tutto il primo periodo come una forza eversiva, può essere successivamente definita “una costola della sinistra”. Ecco perché nessuno si ricorda perché cadde il governo Prodi, e se lo chiedete a un militante di Rifondazione , vi dirà “per le 35 ore”, o, per dirla alla Bertinotti “perché si voleva il programma di Jospin”, tutto già finito nel dimenticatoio. Ecco perché, sull'altra sponda, Berlusconi ha proposto nello stesso periodo Di Pietro ministro degli interni e Previti alla giustizia (della serie “giochiamo a guardie e ladri”). O perché la Lega fece cadere il governo sul pretesto di un federalismo rimasto sempre nel cassetto, anche a dieci anni di distanza. Non c'è una sola questione che abbia visto una serietà maggiore di quella necessaria per preparare uno spot pubblicitario, nemmeno su problemi gravissimi. I fatti non contano più niente. A partire dalla prossima puntata, parleremo solo della realtà e lasceremo i politici sullo sfondo, senza occuparci minimamente di “Matrix”, cioè delle elezioni politiche, regionali, europee dell'ultimo desolante decennio.
Cesare Sangalli