Stand-by (me) (ovvero: la Concordia nazionale verso un Malinconico naufragio)
Il 2012 è iniziato male, e promette di continuare peggio . La metafora obbligatoria è quella del Titanic di casa nostra, la nave da crociera Concordia, una tragedia così stupida che si stenta a credere che sia avvenuta.
Un infausto venerdì 13, come da tradizione horror americana, ha portato subito due notizie pesanti, di quelle che possono segnare un anno intero: il Parlamento ha salvato per la seconda volta da un arresto sacrosanto Nicola Cosentino (“Nick ‘O Mericano”, per gli esperti del settore); e la Corte Costituzionale non ha ammesso i referendum per l'abrogazione dell'infame legge elettorale conosciuta come “Porcellum”.
Un uno-due del genere stende qualsiasi positività, anche perché si tratta di due colpi bassi, sotto la cintura.
Da qui il titolo, gioco di parole fra la situazione di stallo che il paese sta vivendo, e la richiesta di vicinanza che ognuno di noi ha nel cuore, perché la notte italiana in questo momento è buia, molto più di quella che ha portato il comandante Schettino ad affondare una nave da crociera per una bravata.
Il Parlamento più screditato della storia repubblicana (si pensava fosse quello cosiddetto “degli inquisiti” di Tangentopoli, del 1992-93, e invece) si asserraglia completamente nel bunker, che stranamente non è (ancora) sotto assedio, per l'effetto placebo del governo Monti.
La Corte Costituzionale tappa con il cemento la possibile breccia al fortino, trincerandosi dietro la giurisprudenza più zelante e quindi più vile (perché ogni contesto storico ha le sue esigenze, e perché almeno altrettanti costituzionalisti difendevano l'ammissibilità del referendum, per lo meno per un'abrogazione parziale del Porcellum).
Due a zero per il Palazzo. Che diventa un tre a zero, apparentemente, per il largo consenso di cui sembra godere il governo Monti.
Tutto rimandato al 2013, una bella boccata d'ossigeno per tutti quelli che contano.
Bersani e il PD hanno finto un rammarico di circostanza: loro, come tutti gli altri (Fini, Casini, Rutelli, perfino i radicali) si sentono rimessi in gioco senza aver fatto assolutamente niente.
Nella loro visione, il governo Monti evita la bancarotta all'Italia, e loro si ripresentano come se nulla fosse.
Verso il futuro con le stesse facce di vent'anni fa, pronte a tornare nel salotto di Bruno Vespa (dal quale si sono temporaneamente assentati), a spiegare “agli italiani” l'improrogabile necessità di una “legislazione costituente”, per compiere le “riforme istituzionali” per cui, si sa, occorrono le Grandi Intese.
Purtroppo per loro, però, ci sono i fatti. E i fatti ripetono da tempo che sono avviati ad un tramonto.
Malinconico, come il ministro che anticipa la fine (ingloriosa) del governo Monti.
Più che Malinconico, poteva chiamarsi Emblematico.
Tipico rappresentante dell'establishment. Curriculum ineccepibile, grande funzionario, tecnico vicino a Prodi, di quelli che lavorano con ogni governo, prima con Berlusconi, e poi con Monti. Stile professorale, competenze riconosciute, aspetto sobrio, quasi grigio. Voluto da Montezemolo e dalla Confindustria a capo della FIEG, chiamato da Monti ad occuparsi di editoria, cioè, in qualche modo, della libertà di informazione.
Un dirigente con i fiocchi. Un top dell'élite.
Un quaquaraquà, alla prova dei fatti. Uno che si è fatto pagare le ferie di extralusso più e più volte da un imprenditore del calibro di Piscicelli, quello che rideva sui morti del terremoto all'Aquila e portava la mamma in elicottero a farsi lo spaghetto alle vongole, con rigorosa manovra abusiva.
Malinconico prima tace, poi ammette, e infine aggiunge che non sapeva chi gli pagava il conto. Un quaquaraquà, un “omm ‘e niente”.
Ammanicato come tutti gli altri, Passera, Fornero, Severino, Patroni Griffi, De Lise, Catricalà. Salviamo solo Andrea Riccardi per rispetto alla Comunità di Sant'Egidio. E questo dovrebbe essere il meglio che l'Italia sa offrire in questo momento.
Se a novembre parlavamo di valore politico vicino allo zero (vedi “Un Monti di paura”), adesso possiamo già condannare in anticipo questo governo come ultimo patetico tentativo di un'intera classe dirigente di salvare se stessa.
Chissà quanto riusciranno a tirarla in lungo, sulla pelle nostra. Con tutto il bla-bla sulle liberalizzazioni, sulla riforma del lavoro, sulla lotta all'evasione (qualche piccolo segnale lì si è visto, ma non ci fidiamo neanche un po'), sul risanamento e sulla crescita.
Vediamo quante puntate di “Ballarò”, che è il miglior programma per ragionieri mai visto, e di “Porta a porta” (che andrebbe cancellato – lo abbiamo detto – con tanto di monito ai posteri) riusciranno a riempire, quante battutine spiritose riusciranno a dire a “Che tempo che fa”, quanto cloroformio riusciranno a spandere sui giornali e in TV.
In pratica, è come se puntassero tutti ad una gigantesca prescrizione. Un po' come Berlusconi, che riuscirà con tutta probabilità a farla franca nel processo Mills (che lo vede spudoratamente colpevole), ora che per rimandare ancora i tempi si sono pure inventati lo “stress da interrogatorio”, mentre la signora Severino, già avvocato di molti vip cialtroni, scopre da ministro della Giustizia che la lunghezza dei processi ha costi enormi e colloca l'Italia in zone africane della classifica mondiale della giustizia.
A noi avevano detto che entro dicembre ci sarebbe stata la prima condanna (anche quella strasicura) per il processo Ruby. E intanto siamo arrivati a carnevale. Dice che a marzo dovrebbe esserci l'ultimo giudizio della Cassazione sul mafioso Dell'Utri.
Vediamo cosa riescono ad inventarsi per evitare la galera al creatore del partito di Berlusconi, di gran lunga il primo partito nell'ultimo vergognoso ventennio.
Vediamo se a fronte di un tale giudizio si comincerà a sollevare il velo della vergogna italiana, il velo di Maya che ci impedisce da sempre di fare giustizia, di fare verità.
Vediamo se riescono a riciclare pure il comandante Schettino, se qualcuno riuscirà ad invitarlo a qualche “Isola dei famosi”, o se andrà a piangere da vittima a “Uno mattina”, o qualche trasmissione analoga.
Noi, nel nostro piccolo, prepariamo fin d'ora le uova marce e i pomodori avariati per il Gran Finale. Ne serviranno alcune tonnellate, per seppellire anche i cantori dello stile e delle buone maniere, i vari Cazzullo, Ostellino & C. che si scandalizzavano per i cori contro Berlusconi (“ignobile gazzarra” e giù di lì), invece di essere contenti perché nessuno ha messo mano ai sampietrini e alle molotov, e perché ancora non si sono visti i benedetti calci in culo che tanti di loro meriterebbero, a partire dagli ex picchiatori fascisti (a proposito di galateo) per finire ai leghisti che minacciavano marce su Roma, e pallottole della Val Brembana ai giudici, o schioppettate sugli extracomunitari.
Infinita sembra la pazienza del popolo italiano, ma forse per tanti è solo smarrimento per essersi resi complici di tutto questo schifo .
Certo non dispiacerebbe leggere una notizia del tipo: “gruppo di pensionati prende a calci e sputi l'auto del manager Guarguaglini mentre ritira la liquidazione da 4 milioni di euro”, giusto premio per aver intrallazzato con la moglie e compari in Finmeccanica per anni.
In ogni caso, se fossi Monti, in questo 2012 da fine del mondo annunciata, non mi farei vedere troppo in giro.
Cesare Sangalli