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Soldi, soldi, soldi
Settembre 1998. La chiusura della Festa dell'Unità a Reggio Emilia spetta al segretario, Massimo D'Alema, l'uomo che per la prima volta portò la sinistra al governo in Italia (in realtà è stato il democristiano Prodi, ma questi sono dettagli). Davanti alla sua platea, il grande leader fa un bilancio dei primi anni a Palazzo. Un bilancio positivo, non c'è che dire: a maggio l'Italia è stata “riammessa” in Europa, sarà nel gruppo dei paesi dell'euro.
Era questo l'obiettivo numero uno di Prodi, e grazie alla sua opera di risanamento (iniziata in realtà nel 1992 dal governo Amato e proseguita da Ciampi e Dini) ce l'abbiamo fatta.
D'Alema insiste: parla di inflazione sotto controllo, di tassi di interesse diminuiti, di crescita incoraggiante, perfino di un limitato ma significativo aumento dell'occupazione. Ma lui non è il ministro dell'economia: è il segretario del maggior partito di sinistra in Italia. E davanti a lui non c'è un consiglio di amministrazione, ma una massa di militanti e simpatizzanti del partito. Dopo un'ora di cifre e bilanci, D'Alema cerca di infiammare un po' il pubblico, ma non ci riesce. Parla di una famiglia di operai veneti, che non si lamentava del tenore di vita, ma che chiedeva qualcosa di più. Ma quel qualcosa in più resta in termini molto vaghi. D'Alema avrebbe potuto concludere benissimo che “non di solo pane vive l'uomo”, ma non era la “location” giusta.
Alessandro Baricco, lo scrittore, in un articolo su “Micromega” di qualche anno fa, usò una metafora simpatica per descrivere gli orizzonti perduti della politica. Raccontava la storia di un'invenzione “rivoluzionaria” (la carne in scatola), che ebbe bisogno di un bel po' di tempo per decollare, perché nessuno si era applicato ad inventare l'apriscatole. La morale era che l'era delle grandi idee, delle intuizioni geniali (l'era della carne in scatola) era tramontata: la gente oggi chiedeva soprattutto apriscatole, cioè soluzioni pratiche e immediatamente spendibili, visto che i grandi obiettivi erano stati in qualche modo raggiunti.
E' un'idea calzante allo “Zeitgeist” (lo “spirito dei tempi”) degli ultimi anni, ma contiene una forte ambiguità, la stessa che portò il politologo americano Francis Fukuyama a scrivere nel 1991 della “fine della storia”. Secondo Fukuyama, ora che era crollato il comunismo, non c'erano più veri ostacoli al trionfo della democrazia e del libero mercato, e quindi il mondo poteva restare così com'era nei secoli dei secoli. Ovviamente le cose non stanno così, ma questa sembra la visione prevalente in tutti i paesi ricchi.
Berlusconi vince perché è un imprenditore di successo, e chi lo ha votato ha operato un
sillogismo elementare: farà con l'Italia quello che è riuscito a fare con le televisioni e con il Milan. Berlusconi perde perché il miracolo promesso non c'è stato, siamo ufficialmente in crisi, e l'opposizione sembra garantire qualcosa di meglio, un'amministrazione del condominio più saggia. Fine del discorso politico. Rilanciare l'industria, investire nella ricerca e nella formazione, raccogliere la sfida della competitività, migliorare le infrastrutture. Nel rispetto dello stato sociale e senza trascurare l'ambiente, è ovvio.
Chiunque fra noi potrebbe fare il leader politico. Per le cifre, basta rivolgersi al proprio commercialista e copiare un po' dal “Sole 24 ore”, o dall'”Economist”, che fa più figo.
Sull'economia cadde, senza sapere perché, Romano Prodi, che sull'economia vincerà, senza sapere perché. Cerchiamo di essere onesti, per una volta: quanti di voi hanno percepito davvero le differenze di politica economica fra i vari governi post Tangentopoli, Amato, Ciampi, Dini, Berlusconi, Prodi, D'Alema, di nuovo Amato, di nuovo Berlusconi, prima con Tremonti e poi con Siniscalco, e l'anno prossimo probabilmente di nuovo Prodi?
Vi siete accorti dell'euro solo perché molti hanno rubato sul cambio dei prezzi. Roba da
casalinghe da un lato e fruttivendoli dall'altro, sia detto con il massimo rispetto per entrambe le categorie. Da qualche tempo si avvertono anche i morsi della crisi, ma la crisi ha origini antiche (chiedete alla Fiat), e i poveri stavano male anche dieci anni fa, i
benestanti (la grande maggioranza) stanno bene anche adesso. Detto così, suona un po' riduttivo, ma se non fosse almeno in parte così, Berlusconi non direbbe mai che tutto sommato siamo un paese ricco, perché rischierebbe il linciaggio. La sua uscita sarà stata anche improvvida, ma lui ha già deciso a chi parlare: non ai disoccupati (una minoranza silenziosa), non agli operai (che pure, incredibilmente, lo hanno votato), non agli “sfigati” in genere, ma a tutti quelli che pensano di avere comunque qualcosa da perdere, cioè oltre il 70 per cento degli italiani, a giudicare dai dati ISTAT. Ecco perché si parla solo di economia, e perché se ne parla in modo generico, senza toccare mai nessuno. La politica è sostanzialmente ridotta ad essere una contrattazione permanente di interessi economici.
L'elettore non cerca un vero orizzonte, non vuole un progetto ideale: vuole capire se ci sarà un condono, un rincaro della benzina, una tassa sugli immobili, un'aliquota più bassa.
Siamo un popolo di ragionieri, e ognuno tira l'acqua al suo mulino, al massimo a quello
della propria categoria. Se le cose stanno così, hanno ragione loro, i tanto disprezzati politici.
E infatti non c'è distinzione etica o ideologica, quando i nostri rappresentanti si aumentano, di tanto in tanto, i compensi, all'unanimità e in piena estate, ché non si deve dare troppo nell'occhio.
Soldi, soldi, soldi. Si dibatte sull'Europa, e il grande Gad Lerner incalza i suoi ospiti con la domanda chiave: “ci conviene o non ci conviene”? Pensa se qualcuno sarebbe disposto, su queste basi, a scucire un euro per i paesi poveri, a favorire le economie dei paesi dell'est. Guai a parlare del sud del mondo, se non in termini mistici, che portano alla solita beneficenza una tantum (meglio se con qualche catastrofe di mezzo). Eppure, solo 60 anni fa, molti hanno rischiato la vita per un'idea di libertà, di democrazia, di pace (cioè l'unico vero fondamento dell'Europa, che non è nata per le quote latte).
Così, la politica sarebbe morta. Poi però tre milioni di persone si pagano il viaggio per andare a Roma a manifestare contro la guerra (fanno qualcosa gratis e non per il loro interesse: scandaloso, di questi tempi). E migliaia di giovani a Genova si prendono le mazzate per gridare ai signori del G8 che “un altro mondo è possibile”. Ogni volta che si toccano i grandi temi, emerge in tutta la sua chiarezza il nanismo della classe dirigente.
Ma se si parla di economia, non vi preoccupate, fanno tutti la loro porca figura. I soldi dovrebbero solo servire come pezze d'appoggio per inchiodare con le cifre le menzogne del potere. Un po'come la refurtiva per incastrare i ladri. Nella prossima puntata, per esempio, parleremo di militari, e cercheremo di capire per esempio perché un governo di sinistra (c'era pure Rifondazione in maggioranza) ha speso per una portaerei quattro volte quello che spende in un anno per la cooperazione internazionale.
Cesare Sangalli