Viva la campagna (a.a.a. cercasi contenuti, astenersi perditempo)
La campagna elettorale ha praticamente un unico tema: l'economia. Se accettate una provocazione, non ce ne può fregare di meno. Non perché non sia un tema importante, figuriamoci, soprattutto in questi tempi di crisi. Ma perché rischia di diventare come la famosa notte hegeliana, in cui tutte le vacche sono grigie. Le analogie (che fa rima con bugie) sui temi economici fra i diversi schieramenti sono tante, infatti.
Se si parla di tasse, tutti dicono di volerle abbassare, almeno il “carico sulle imprese” o il famoso “cuneo fiscale”. L'IMU, per esempio, avanti di questo passo salta fuori che ce la siamo messa da soli. E comunque tutti la vogliono togliere sulla prima casa, da Vendola a Berlusconi.
L'evasione fiscale: c'è chi ne parla al passato (“nessuno l'ha combattuta come noi”: in ordine cronologico inverso: Monti, Berlusconi, Bersani), chi ne parla al futuro, sempre in chiave di lotta, però ci si guarda bene, per esempio, dall'introdurre la possibilità di detrarre quasi tutto, in modo da rendere conveniente per tutti chiedere fatture e scontrini: per strada e nei bar lo si sente dire da vent'anni, come si sente dire che altrove si fa proprio così (la più citata è l'Australia).
Aprire il credito alle piccole e medie imprese, creare sviluppo, favorire la crescita: vigliacco se ce n'è uno solo che non l'abbia detto, ribadito, perfino urlato.
Finanziare la ricerca, investire in cultura, valorizzare i nostri talenti e il nostro patrimonio: scommetto che l'avete già sentito.
Tagliare i costi della politica, eliminare gli sprechi, e addirittura (la più bella – o più balla -di tutte, resiste da almeno vent'anni) “ridurre il numero dei parlamentari”.
L'elenco potrebbe andare avanti. In un pezzo di qualche anno fa su questa rubrica (“Soldi, soldi, soldi”, vedi in archivio) si sosteneva che ognuno di noi potrebbe andare in TV a dissertare di economia, dato il livello di quello che viene detto, con un gioco dei numeri che ha qualcosa di esilarante (Tremonti è arrivato a contare i “trilioni” di capitali speculativi investiti nel mondo), se non ci fosse da piangere.
Ora che grazie allo scandalo del Monte dei Paschi si torna a parlare un po' di finanza, si potrebbe fare un figurone con due proposte semplici semplici, anzi tre, pure queste in giro da anni: separare il risparmio dalla finanza; vietare i titoli derivati; applicare una tassa (chiamatela “Tobin” o “Cicciobello”, non fa differenza) sulle transazioni finanziarie internazionali. In realtà, ora lo vanno dicendo un po' in troppi, quindi c'è da preoccuparsi.
Niente da fare, finché parliamo di economia e finanza ci sarà sempre qualcuno fra quelli che ci hanno portato allo sfascio pronto a darci lezioni e soluzioni (l'oscar della faccia di bronzo va sicuramente a Tremonti, anche se il successore Monti si è dimostrato molto ben fornito in materia).
Ci sono questioni invece in cui il coro (anche e soprattutto di giornalisti, conduttori e intellettuali vari) si fa subito muto. O al massimo fa sentire qualche flebile voce. In questa rubrica il rapporto è rovesciato: ne abbiamo scritto di più, concedendo invece il minimo a debito pubblico, euro, “spread” e tutto il resto.
Il tema per eccellenza riguarda i fatti di Genova, il famigerato G8 del 2001, e soprattutto i risvolti dei fatti di Genova. Per esempio, l'introduzione del reato di tortura, che avrebbe reso più consistenti le pene agli altissimi funzionari di pubblica sicurezza condannati soprattutto con il generico “abuso di potere”. Per esempio, un giudizio politico chiaro e inequivocabile su quei giorni di eclisse della democrazia (le scuse del ministro Cancellieri, per quanto apprezzabili, sono assolutamente insufficienti).
Non abbiamo mai sentito una sola voce, e di sicuro non la sentiremo in campagna elettorale, che abbia chiesto le dimissioni dell'inamovibile, intoccabile Gianni De Gennaro, vertice della piramide di comando, salvato dall'accusa di aver aggiustato la testimonianza del prefetto Colucci (anche se le intercettazioni andavano proprio in quella direzione), salvato da tutto, come se gli altri avessero agito a sua insaputa. E se anche fosse vero (ovviamente non lo è), uno così andrebbe cacciato per incompetenza. Dice: ma è un ottimo poliziotto, ha fatto tanto contro la criminalità organizzata. Forse ha fatto troppo, visto che si è dimenticato cos'è lo Stato di diritto: grazie e avanti un altro, che certo non è l'unico poliziotto che abbiamo.
Viene da pensare che più che essere bravo De Gennaro sia a conoscenza di tante pratiche riservate, e forse questo, a certi livelli, conta più di ogni altra cosa, visto che il superpoliziotto è stato confermato sia da Prodi che da Berlusconi, e per ultimo da Monti. Sinistra, destra, centro. Sui fatti di Genova in generale, e su de Gennaro in particolare, anche i migliori giornalisti e commentatori (Travaglio, Maltese, Gabanelli, Iacona, e molti altri) non hanno usato nemmeno un decimo della loro capacità. Figuriamoci il resto.
Sempre in tema di rapporti fra vertici delle forze dell'ordine (carabinieri in particolare) e governanti, si segnala la questione della trattativa fra Stato e mafia, che testardamente rifiuta di essere insabbiata. Fra l'altro Brusca ha da poco confermato che il destinatario del “papello” di Totò Riina era proprio Nicola Mancino, grande confidente del presidentissimo Napolitano, talmente trasparente nelle sue telefonate che ha dovuto investire la Corte Costituzionale per farle cancellare, provocando un grave precedente ( a meno che fra un grande giurista come Cordero e un trombone narciso come Scalfari - che non perde occasione per sbandierare le storiche amicizie con il Potere - non vogliate dar retta al secondo) In questo caso (nel caso della lotta alla mafia) la presenza di Antonio Ingroia dovrebbe essere una garanzia, ma l'ex magistrato palermitano sembra un po' un predicatore nel deserto. La condanna definitiva di Marcello Dell'Utri potrebbe dare un grossa mano, nel cominciare a togliere un po' di scheletri dall'armadio, a meno che la Cassazione si inventi ancora qualcosa al riguardo, aprendo la strada alla prescrizione.
A proposito dei mille insabbiamenti di Prima e Seconda Repubblica, adesso torna a galla perfino il caso di Ustica, e c'è stata la condanna di Jeff Castelli, capo della CIA in Italia, per il rapimento a Milano di Abu Omar. Potrebbe essere uno spunto per aprire una discussione nel nostro rapporto con gli USA (leggi: appartenenza alla NATO), ma bisogna essere autentici sognatori per immaginarsi di avere una nuova politica estera. E' già tanto se riusciremo a dare un profilo politico più forte al prossimo parlamento europeo, in vista delle elezioni del 2014 (sarebbe bello poter eleggere una vera assemblea costituente, ma questo è un altro sogno non realizzabile in tempi brevi).
Su altre questioni fondamentali, squisitamente etiche o politiche, gli unici veri spunti vengono dalla società civile: innanzi tutto da Amnesty International, che per la prima volta nella sua storia pluridecennale entra nella campagna elettorale con l'intento di impegnare i futuri rappresentanti del popolo su un'agenda di 10 punti, che vanno dall'operazione trasparenza delle forze dell'ordine (in modo che non ci sia mai più un caso come quello di Genova) al controllo dell'operato delle multinazionali (vedi ENI sul petrolio), passando per nuove leggi per i rifugiati, gli immigrati, per le donne vittime di violenza, per i gay, per i Rom, per i carcerati.
C'è la proposta di Libera- Gruppo Abele sulla corruzione. L'agenda di sette organizzazioni italiane per l'ambiente sulla tutela del territorio. Il manifesto di Greenpeace sulle energie rinnovabili e le richieste di Banca Etica sulla finanza. Siamo pronti a scommettere, felici di essere smentiti, che in televisione non ne sentiremo parlare, e non succederebbe nemmeno se i canali a disposizione fossero il doppio (a proposito: il silenzio su una doverosa riforma televisiva è di tipo tombale, ma anche questo lo abbiamo già scritto). Ci verrà propinato l'ennesimo “Ballarò” o “Servizio pubblico” o “Piazza pulita” sulle tasse, sull'economia, sull'occupazione, resi magari più piccanti dall'ennesimo scandalo sui soldi pubblici, le polemiche fra Tizio e Caio, il saliscendi nei sondaggi, il toto-governo e il toto-alleanze e altre amenità da campagna elettorale della Terra dei cachi (termine che non volevamo più usare, ma che diventa obbligatorio di fronte a questo spettacolo).
Poi, finalmente, arriverà il sabato del villaggio, il 23 di febbraio. E il 26 sapremo se la Terra dei cachi vuole cominciare a tornare a essere Italia (noi crediamo di sì) o se invece preferisce occuparsi del festival di Sanremo.
Cesare Sangalli