In ogni caso, nessun rimpianto (una parentesi papale papale)
Questa è una breve riflessione, una parentesi appunto, sulle dimissioni di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger. Abbiamo iniziato con una doppia citazione: il titolo è preso da un romanzo di Pino Cacucci; il messaggio di base da un articolo di Michela Murgia su “MicroMega” , articolo che a nostro avviso è di gran lunga il migliore commento fra i tanti apparsi in questi giorni.
I punti di contatto di questa rubrica con Murgia sono tanti, basta andare a rileggere “E' Natale, papa Ratzinger” nell'archivio del sito.
Proviamo a ricapitolare, per sommissimi capi, quello che è stato scritto all'indomani dell'undici febbraio 2013, una data che sicuramente verrà ricordata a lungo.
I commenti sono stati tanti e abbastanza vari, ma si possono dividere in due grandi correnti.
Quella più positiva, o meno critica, di gran lunga maggioritaria, tanto cattolica quanto laica, ha apprezzato il gesto “storico”, “inaudito”, “epocale”,“rivoluzionario” di Ratzinger.
Un uomo, un papa, che non riscuoteva grandi simpatie, che non aveva nemmeno un decimo del potente carisma di papa Woytila, ha trovato un improvviso rispetto anche sul fronte laico per la sua “umiltà” e il suo “coraggio”. Il suo gesto, hanno detto in tanti, desacralizza la figura del pontefice, rende il suo ruolo più “laico”, la sua figura più umana, la sua posizione meno “monarchica”.
Poi c'è un'altra corrente, che sottolinea di più l'aspetto di vittima di Ratzinger, sia come “mite studioso” o “fine erudito”, più adatto ai libri che alla gestione del potere, schiantato quindi dai mille veleni della Curia; oppure, fatto fuori in qualche modo dal complotto di chi comanda davvero (sono stranamente - o forse non tanto, ci torneremo dopo - più i giornali di destra a sostenere questa tesi).
Infine, c'è chi invece stigmatizza senza troppa indulgenza il passo indietro del papa: da Pelizzetti (“un uomo piccolo piccolo”) a Bifo (“s'è cagato sotto”), sempre però in linea con la tendenza a vedere Ratzinger come un pontefice inadeguato al compito, e quindi alle prese con un potere più grande di lui.
Michela Murgia va in controtendenza, e noi sposiamo completamente la sua tesi.
Ratzinger è da sempre un uomo di potere. Da custode dell'ortodossia, braccio destro teologico di Giovanni Paolo II, si è sempre mosso a suo agio nelle stanze vaticane, e ha dato il suo contributo determinante nell'affossare le voci critiche all'interno della Chiesa, nell'emarginare figure non allineate, nel favorire invece le carriere di tanti che oggi si dice siano contro di lui.
Senza la minima pretesa di entrare nei giochi di potere del Vaticano (i vaticanisti sono così raffinati e bizantini che alla fine non spiegano proprio nulla), possiamo dire da semplici spettatori interessati che un Conclave come quello che elesse Benedetto XVI nel 2005 è stato forse il più annunciato della Storia. Di sicuro, nessuno o quasi aveva previsto i papi precedenti. Il famoso detto “chi entra in Conclave da papa, ne esce cardinale” sembrava davvero fondato, tranne, appunto, nel caso di Ratzinger. Nessuna sorpresa, il pronostico rispettato alla lettera, il cardinale Martini sicuro perdente, la linea del Concilio Vaticano II messa in minoranza.
Se il papa è eletto dallo Spirito Santo (e probabilmente a volte lo è), di sicuro i voti li danno gli uomini, e molti di questi uomini sono stati nominati da Giovanni Paolo II, i cui errori, anche macroscopici, sono stati oscurati dalla beatificazione postuma.
Papa Woytila è stato un gigante, e ha meriti enormi di cui abbiamo parlato nel pezzo succitato.
Però è come se il suo grande slancio pastorale avesse annebbiato, per non dire peggio, le scelte più prosaiche, quelle legate al governo e al potere. Il “New Yorker”, la prestigiosa rivista americana, fece nel 2005 un'analisi molto precisa delle gravi responsabilità di Woytila nelle scelte dei vescovi durante il suo lunghissimo pontificato. I vari Bertone, Sodano, Ruini, Bagnasco e tutti gli altri personaggi della Curia e non solo (in grande maggioranza italiani, va detto) non sono certo spuntati dal nulla; le loro carriere sono avvenute grazie a Giovanni Paolo II, o comunque sotto la sua egida e sotto quella di Ratzinger.
Si può dire tranquillamente la stessa cosa di tutte le questioni che oggi avvelenano la vita della Chiesa cattolica: la gestione finanziaria e lo IOR, la pedofilia di troppi sacerdoti (basta leggere al riguardo il commento di bassissimo livello di un grande intellettuale come Joaquìn Navarro Valls, per anni portavoce di Woytila, per capire che aria tirava su quello scandalo), i rapporti scabrosi con la peggiore politica italiana (iniziati, lo ripetiamo, con lo sciagurato concordato del 1984 firmato da Craxi), fino alla vergogna dell'appoggio alla “cricca” di Balducci-Bertolaso-Anemone e compagnia, che inizia, nell'anno del Giubileo, il 2000, per non parlare di Comunione e Liberazione e Compagnia delle Opere e di don Verzé: tutta roba nata sotto Woytila, a cui Ratzinger sicuramente non poteva essere completamente estraneo, vivendo e operando in posizione di vertice nei palazzi vaticani.
E' un processo di corruzione che dura da oltre trent'anni (il caso IOR- Banco Ambrosiano- Calvi- Marcinkus esplode già alla fine degli anni Settanta, ed era in atto dai tempi di Paolo VI, Andreotti e Sindona: noi facevamo le scuole medie, le nostre eminenze attuali erano già tutte in prima fila).
Sui (pochi, pochissimi) contenuti che riguardano la fede e la morale di questi tempi non ci sembra nemmeno il caso di dilungarci: si darebbe un valore immeritato a questi otto anni di pontificato.
Un valore immeritato perfino in negativo, perché il Grande Restauratore, su questi temi, è stato Woytila, e non lo diciamo esclusivamente in termini di critica.
Ratzinger ha agito prima da “poliziotto della fede” (anzi, della dottrina), come ci ricorda Michela Murgia, che ridimensiona la sua fama di “grande teologo”, poi soltanto da meschino interprete della morale (basterebbe citare il caso Welby o il caso di Eluana Englaro).
La buona notizia è che almeno se n'è andato. In questo, forse, c'è un atto di pentimento, ma non lo sapremo mai. Aspettiamo davvero che lo Spirito Santo torni ad illuminare questa Chiesa caduta così in basso, e allora forse avrà senso tornare a parlare di Concilio, di idee, valori e contenuti. Il sistema di potere attuale, comunque, sembrerebbe arrivato al capolinea. Ben venga un nuovo papa, e in ogni caso, nessun rimpianto.
Cesare Sangalli