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Nata sotto il segno dei Pesci


Con una lunghissima gestazione, con i dolori di un travaglio che è solo all'inizio, con mille incognite sulla sua crescita, e con tutte le ecografie sbagliate, è nata una strana, nuova Repubblica, che ancora non sappiamo se è la Terza , o se è solo il suo embrione.
Di sicuro siamo usciti dalla fase delle “interminabili esequie” (copyright: Marco Travaglio, vedi “Non c'è più religione”, maggio 2012) di un regime nato berlusconiano e morto con il “governissimo che fa benissimo” di Monti, cementato solo dalla paura della bancarotta.
Non si possono rimuovere gli anni passati come fossero acqua fresca (in questo caso, acqua sporca).
Per valutare correttamente il momento presente, basterebbero alcune recenti istantanee del Potere, qualche potente “flashback” per capire cosa o quanto è cambiato.
Pensate: solo sette anni fa, c'era tutto il Potere (purtroppo, c'era anche Roberto Benigni) alla festa di matrimonio del figlio di Mastella (Mastella!), ministro della Giustizia e architrave del governo Prodi.
Tre anni e mezzo fa, qualcuno si aggrappava a Fini (Fini!), e poco prima a Veronica Lario (Veronica Lario!) quanto meno per impedire che Berlusconi diventasse presidente a vita o quasi, e il PDL , che aveva oltre il 40 per cento, il nuovo partito-stato.
Due anni fa o giù di lì, si diceva che solo alleandosi con Casini (Casini!) il centrosinistra poteva battere il centrodestra.
Un anno e mezzo fa, o giù di lì, era Bossi (Bossi!) ad avere le carte del poker in mano, e i soliti sapientoni, dal “Corriere” in giù”, dicevano che la Lega doveva “incassare il federalismo” e andare al voto.
Un mese fa, c'era un Parlamento fra i più vecchi d'Europa, con una percentuale femminile fra le più basse del mondo. Un Parlamento che aveva toccato vertici di malaffare e di ridicolo inauditi.
Oggi, ci dicono, abbiamo il Parlamento più giovane d'Europa, e la percentuale delle donne è quasi raddoppiata.
Diciamoci la verità, al di là delle reazioni di pancia della soffertissima giornata elettorale: ci sembra tutto troppo bello per essere vero. Perché il passato c'è ancora, e c'è l'incubo che possa ritornare. C'è il timore sacrosanto che il futuro debba essere ancora rimandato, politicamente parlando (perché nella vita è già iniziato, in qualche modo).
Le macerie sono tutte lì, anzi, il grosso della struttura deve ancora venire giù. Il suo asse portante, il principale, anche se non l'unico, Berlusconi, ha bisogno dell'ultima, potente spallata. I fatti fin qui dimostrano che non gliel'ha data il Paese (non completamente, almeno); non gliel'ha data la Magistratura (non ancora, almeno); non gliel'hanno data i media ( e vorrei vedere, visto che per metà sono suoi).
Paradossalmente, la fine del Berlusconi politico la potrebbe decretare proprio il nuovo Parlamento. Sarebbe la perfetta legge del contrappasso: un Parlamento che, da cassa di risonanza delle segreterie (anni Ottanta), era stato ridotto a strumento servile del Sultano (anni Novanta, e a seguire), dà il colpo di grazia al Caimano, dichiarandolo in eleggibile da subito perché concessionario pubblico.
A ruota, lo stesso Parlamento, come indicato dalla Costituzione, approva la legge sul conflitto di interessi, che comunque non deve riguardare solo il caso Berlusconi, e richiede un minimo di preparazione.
La possibilità concreta c'è, le condizioni ci sono. Per fare almeno alcune cose di base, sgombrare il tavolo della prossima campagna elettorale da alcune questioni, da alcuni temi, a partire dalla regolarità della competizione. Questa è stata la sesta elezione anomala consecutiva, per la presenza di un candidato possessore di TV, situazione inconcepibile in ogni moderna democrazia. Siamo sempre lì: noi possiamo chiudere con il passato, ma il passato non chiude con noi. Se il salto nel futuro di Grillo significa rimuovere Berlusconi e il berlusconismo come non fossero mai esistiti , l'Italia non sarà in grado di fare un vero passo avanti. Se anche si dovrà tornare presto al voto, facciamo almeno che ciò avvenga in condizioni decenti.
Senza l'incubo e l'alibi di Berlusconi, senza le machiavelliche possibilità del Porcellum, senza la tiritera qualunquista del “sono tutti ladri”. E già che ci siamo, senza la buffonata del thriller provocato dai sondaggisti, dai Piepoli allo sbaraglio. Votando per esempio con il doppio turno: dopo il primo voto, molto più semplice da decifrare, due settimane di riflessione, per fare la scelta giusta o la meno peggiore.
Visto che siamo tornati alle ridicole performance degli “istituti demoscopici”, prima e durante lo spoglio dei voti, rileggiamo velocemente i risultati, le indicazioni principali. Da destra verso sinistra, e con lo sguardo un po' rivolto all'indietro.
Partiamo dal PDL, da Berlusconi. E' vero, sconcerta che ci sia ancora un 23 per cento di elettori che, pervicacemente, optano per la peggiore Italia mai vista. Emblematico un pezzo di questi giorni di Ferrara, in cui dice che Berlusconi, alla fin fine, non ha azzerato la repubblica, non ha oscurato la democrazia, non ha fatto poi tutto questo danno. Giusta constatazione, ma la spiegazione è opposta: Berlusconi (e Ferrara e tanti altri) ci hanno provato, noi glielo abbiamo impedito. Abbiamo sofferto così tanto in questi vent'anni, abbiamo subito così tante delusioni e sconfitte, che ancora esitiamo a dire: “Missione compiuta”, perché temiamo, quasi superstiziosamente ormai, che come in un film dell'orrore, il mostro che sembra morto si rialzi minaccioso.
Ci vuole solo un po' di coraggio, soprattutto ora che è più facile: la paura (che in realtà stava diventando rassegnazione) dovevamo averla eventualmente cinque anni fa. Ora sappiamo per certo che senza il doping televisivo il PDL sarebbe già morto, invece di essere moribondo.
La Lega , il perfetto compagno di merende del Caimano nell'orrido ventennio, è un nano con tre teste abnormi, che si chiamano Cota, Maroni e Tosi. Accettiamo fin d'ora scommesse sulla loro conferma fra due anni o fra cinque (dubbi solo sul Veneto, che, parafrasando la battuta di Berlusconi sulla Toscana, è “il buco nero d'Italia”). Prospettive per il futuro: nessuna.
Fini e Casini, per chiudere la foto di gruppo (vincente) del 1994: seppelliti senza nemmeno una risata.
Monti e i suoi: per questa rubrica il loro risultato è già eccedente. Lasciamoli lavorare, nel loro campo da gioco, la destra. E' un lavoro immane, provare a costruire una destra decente, dal nulla,e con il nulla o quasi.
Un grande futuro dietro le spalle.
Bersani e il PD. Quello che è giusto è giusto: l'attendismo aveva già pagato fin troppo. Volevano cambiare per forza d'inerzia. Ma chi ha sprecato venti anni, anzi trenta (l'Italia) , non può mica pemettersi un decennio di piccoli passi, di timide riforme e ritocchini qui e là. Abbiamo già dato, due volte, con Prodi. Troppo comodo, davvero, chiudersi nel Palazzo con Monti e Napolitano, e col solito “lasciateci lavorare”.
Non è accaduto, non è più possibile. Hic Rhodus, hic salta . Bersani è il tipo di uomo che non scatta se non ha le spalle al muro: vedi con che ritardo ha fatto le primarie, con che ritardo ha capito che Berlusconi era battibile, con che ritardo ha capito (lo sta capendo solo adesso) che non si poteva sostenere (per oltre un anno!) il governo Monti.
Chi continua ad invocare Renzi non sa nemmeno di cosa parla, non sa riconoscere un vero leader da un bluff mediatico. Per Bersani, come per buona parte del PD, è veramente l'ultima chiamata, “the last call”, per prendere l'aereo e guardare dall'alto il recente, disastroso passato, quello dei D'Alema e dei Veltroni. Deve avere il coraggio di lasciare Grillo senza (troppi) argomenti. Meglio sarebbe stato Vendola, al suo posto, ma i voti dicono che Bersani ha il diritto/dovere di provarci.
Vendola, appunto, e Sinistra e libertà. La possiamo chiamare la sinistra “nonostante tutto”.
Da dieci anni Vendola lotta in condizioni di minoranza. Si riparte da lui, e dal suo partito, da quel tre per cento, da quella quarantina di (ottimi) deputati, da quella pattuglia di (ottimi) senatori. Ha avuto ragione chi gli ha dato il doppio voto, lui e SEL ne meritavano molti di più.
Invece anche chi scrive ha voluto dare almeno una chance (solo alla Camera) a Ingroia, che si è rivelato, almeno politicamente, uomo molto più piccolo di quello che si immaginava, inadeguato nella sconfitta (che è sempre rivelatrice, a essere bravi nella vittoria sono capaci tutti). Ha contribuito almeno a fare chiarezza: archiviamo una volta per tutte la falce e martello, archiviamo l'aggettivo “comunista”, e archiviamo l'Italia dei Valori, che Beppe Grillo riassume ampiamente, senza ambiguità sui candidati e sull'ambiente. E archiviamo anche gli squilli di tromba della società civile, quelli in stile “MicroMega” (affetta da “sindrome della mosca cocchiera”): la società civile da sola può raggiungere obiettivi immediati come un referendum. Oppure a livello locale. Ma non si può sostituire ai partiti. E questo vale anche per Beppe Grillo, che per ora è la versione simpatica e positiva del “partito liquido con leader carismatico”, già incarnata da Berlusconi: se non lo avesse capito, o non lo avessero capito quelli del Movimento 5 stelle, si rileggessero la Costituzione , che vale anche per loro, anche all'articolo 49 (il metodo democratico dei partiti). Nemmeno loro si possono permettere di sprecare questa occasione. Crisi vuol dire pericolo e possibilità. Un segno doppio. Successo o fallimento. La Terza Repubblica è nata sotto il segno dei Pesci.
Cesare Sangalli