Julio Cortàzar
"IL PERSECUTORE"
L’amore di Julio Cortàzar per la musica nasce quando, quattordicenne, scopre il jazz alla radio.
E’ il 1928.
Gli anni dell’adolescenza sono quelli delle grandi passioni: “Fra il 1930 e il 1932, ho iniziato a frequentare gli incontri di boxe. E’ allora che, come dire?, mi sono fabbricato una sorta di filosofia della boxe, eliminando tutto l’aspetto sanguinario e crudele che suscita tanta collera e tanta riprovazione”. Nello stesso periodo l’amore per la lettura e la scrittura diventano scelta di vita definitiva: “In una libreria vidi il libro di un certo Jean Cocteau, intitolato “Opium”, e il cui sottotitolo era “Journal d’une désintoxication” (…). Quel piccolo libro mi ha fatto immergere per la prima volta la testa non solo nella letteratura moderna, ma nel mondo moderno”.
Nel 1959 Cortàzar dedica al jazz un’opera molto particolare, una surreale biografia di Charlie Parker, le cui ossessioni creative rappresentano la sintesi di tutta la drammatica complessità dell’essere artisti. Un romanzo breve, con la musica strumento per mettere a confronto due opposti della natura umana e in cui l’autore rivela tutta la sua passione, oltre che per la musica, anche per un mezzo letterario che segnerà tutta la sua attività artistica, con risultati di valore assoluto. Come un fotografo, infatti, uno scrittore di racconti deve avere la capacità di circoscrivere un evento significativo, farlo andare oltre le parole, coglierlo nella sua essenza, lasciando grande spazio alla sensibilità del lettore, proprio perché lo colpisce con la sua immediatezza. “Uno scrittore argentino che ama molto la boxe (Adolfo Bioy Casares) mi diceva che, in quella lotta che si instaura sempre fra un testo e il suo lettore, il romanzo vince ai punti, mentre il racconto deve vincere per knock out”.
Ne “Il persecutore”, Johnny Carter, personaggio che nasconde l’immenso sassofonista jazz Charlie Parker, è l’artista maledetto, il genio sempre sull’orlo di un abisso fatto di eccessi. Di alcol, droghe, sesso, ma soprattutto di amore per un talento che non percepisce fino in fondo proprio perché non riesce a condurlo oltre il limite della perfezione. Da qui l’insoddisfazione per esecuzioni che incantano chi ascolta ma non chi suona, tranne quella volta, l’unica, insieme a Miles (Davis): “Mi udivo come se, da un posto lontanissimo, ma dentro me stesso, accanto a me stesso, qualcuno stesse in piedi. Senza essere a New York, e soprattutto senza che ci fosse un dopo…Per un istante non ci fu altro che sempre”. E il tempo gioca un ruolo fondamentale nella vicenda di un uomo che suona solo per essere padrone, che non chiede limiti se non quello della sua creatività, che in un momento di lucida allucinazione sfoga la rabbia contro chi lo ha paragonato a Dio: “Non voglio il tuo Dio, non è mai stato il mio”. Un uomo che è emblema del disordine e della precarietà, ma che grazie ad un dono divino diventa simbolo di vitalità, un uomo il cui disagio si manifesta proprio nella dissociazione fra il presente e la musica: “La sto suonando domani”.
A lui si contrappone un “uomo qualunque”, il suo biografo Bruno V., la voce narrante, il tramite fra il fenomeno e tutto ciò che lo circonda, che vive nella sua ombra ma non riesce a coglierne gli aspetti più intimi. O forse non gli interessano, perché non sono commerciabili. Da una parte l’insoddisfazione dll’assoluto, dall’altra l’accettazione della mediocrità. Due modi di essere che si sfiorano, si toccano e a volte, forse, si amano, ma mai fino in fondo. Troppo diversi per potersi dare completamente. Anzi, è forse nella debolezza che il genio a tratti lascia scoprire la sua vera grandezza, ricevendo in cambio cinica attesa, anche della sua morte. Le vendite del libro ne guadagnerebbero. Eppure Bruno è sincero nella sua passione per la musica di Johnny, come lo è verso le sue sensazioni, senza però comprenderne l’essenza più profonda, come invece invoca ogni eccesso dell’artista.
Con un linguaggio immediato e incalzante Cortàzar ci regala una prosa raffinata, sintesi fra una straordinaria cultura personale e una conoscenza approfondita anche di chi vive ai margini della società. “Sono stato effettivamente traduttore pubblico a Buenos Aires, dove avevo un ufficio, e ho tradotto la posta delle prostitute del porto che mi portavano le lettere dei loro marinai, inviate da tutti gli angoli del globo”. Da questa capacità di descrivere le contraddizioni, di far convergere gli opposti per poi separarli definitivamente, nacse la percezione del limite vero di rapporti che a volte diventano impossibili e che troppo spesso caratterizzano le dinamiche fra gli uomini. Rapporti in cui l’altro, alla fine, resta uno sconosciuto.
Michele Castelvecchi
Julio Cortàzar
IL PERSECUTORE
Einaudi Arcipelago
Euro 9,50