Reportages
Pubblicato su "Galatea" settembre 2007
Una perfetta metafora della “società liquida” -
Estonia, la bella smemorata del BalticoQualcuno la chiama la “e-repubblica”. La piccola nazione vicina alla Finlandia è forse la più “hi-tech” del mondo. Completamente proiettata verso la Scandinavia e verso il futuro, ha visto riemergere i fantasmi del passato (sovietico). Ma più che la Russia, gli estoni, come gli altri europei, dovrebbero temere la globalizzazione. Ecco perché
Povero milite ignoto. Nella sua tristezza di bronzo, ricordo di tanti anonimi “soldati Ivan” dell'Armata Rossa, non trasmette trionfalismi per la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale (per i russi, la“Grande Guerra Patriottica”). E' una statua da fiori alla memoria, da meditazione silenziosa, non da squilli di tromba e fanfare, e forse sta meglio adesso, in un cimitero, accanto alle tombe degli altri caduti, che non nella piazza di Tallinn dov'era prima. Prima degli incidenti che l'hanno resa famosa, e hanno portato l'Estonia sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, durante “le notti di bronzo”, come le chiamano qui, quasi a evocare altre notti ben più drammatiche, quelle di un Novecento tragico che rifiuta di farsi seppellire.
Che cosa è successo nelle “notti di bronzo” di fine aprile che sembravano dovere riportare i rapporti internazionali ai tempi della Guerra Fredda? La cronaca ha parlato della scelta del governo estone di rimuovere la statua del soldato sovietico, come miccia per la rivolta della minoranza russa (o meglio, russofona) che vive in questo paese. Le manifestazioni di protesta diurne, di notte si trasformano in guerriglia urbana, con una violenta repressione da parte della polizia estone. Ci scappa il morto (un giovane russo, Dimitri Ganian, accoltellato, probabilmente in uno scontro con naziskin estoni), più decine di feriti, anche gravi, e centinaia di arresti.
Dopodiché, si scatena l'offensiva di Putin. L'ambasciata estone a Mosca viene assediata, gli hacker russi pilotati dai servizi segreti attaccano in massa il sistema informatico dell'Estonia, il ministro degli esteri Lavrov parla con toni minacciosi che non si sentivano dai tempi di Breznev. Il tutto mentre Bush insiste sullo scudo missilistico da schierare in Repubblica Ceca e in Polonia, e Putin ribatte che punterà i suoi missili contro l'Europa. I media cavalcano il brivido “old fashion” della Guerra Fredda; i governi europei, più pragmatici, temono per le forniture di gas e petrolio, ma non possono lasciare un paese membro da solo a fronteggiare le ire di Mosca.
In questa situazione di tensione che sfiora il grottesco, l'Europa comunque si compatta a difesa della causa estone, guidata dal presidente di turno Angela Merkel (di gran lunga il miglior leader continentale, in questi tempi così avari di grandi personalità). Al G-8 in Germania, la crisi internazionale rientra, tutto torna come prima, e l'estate riporta i turisti (soprattutto gli inglesi) a Tallinn, che ha uno centri storici più graziosi di tutto l'est europeo. Tutto a posto, e niente in ordine, come si usa dire. Perché i fatti di aprile, se si azzerano le clamorose strumentalizzazioni politiche da ambo le parti (Estonia e Russia), sono un segnale rivelatore di molte cose. Un po' come un tic nervoso sul volto di una persona impeccabile, o una macchia di umidità in una casa dall'apparenza perfetta, che è l'immagine che l'Estonia vuole dare di se stessa all'interno e all'esterno.
Dello sciovinismo cinico di Putin e della sua banda si sapeva da tempo, solo gente come Berlusconi può fare finta di non vedere la deriva autoritaria della Russia. Ma la Russia, anche se si è presa tutto lo spazio mediatico, non è al centro di questa storia; anzi, si può dire che si è voluta infilare a tutti i costi in una situazione che non la riguarda, almeno da un punto di vista politico-internazionale. Putin infatti non si occupa veramente delle minoranze russe nei paesi baltici, perché la tutela delle minoranze, e quindi il rispetto dei diritti umani, è per lui e per il suo regime un terreno minato. A lui interessa soltanto difendere il prestigio di Mosca, e cavalcare l'ondata di nostalgia dell'Unione Sovietica, come ha fatto da quando si è insediato al potere.
No, l'Estonia, come le altre repubbliche baltiche, deve interessare solo all'Unione Europea. E non per il semplice motivo che dal 2004 l'Estonia è un paese membro, ma perché è una piccola, perfetta metafora delle sfide che ci attendono. Se esistesse una grammatica storico-politica, l'Estonia sarebbe una strana coniugazione di passato rimosso, presente immanente e futuro eventuale.
Cominciamo con il “presente immanente”. L'Estonia vista dal centro storico di Tallinn è una cartolina dell'Europa post-moderna: perfettamente conservata, pulitissima, con le sue mura medievali e le sue chiese luterane, i suoi locali turistici, internet sempre a disposizione, con diversi punti “wireless”, dove ognuno può navigare con il suo portatile gratis e senza fili. Abbigliamento di tendenza, belle ragazze nordiche, pagamenti con carta di credito o direttamente dal telefonino, musica elettronica, interni futuristici o comunque con un design ricercato. Una specie di “cool Estonia”, brillante e avanzata, che parla inglese con disinvoltura e si muove perfettamente nelle nuove tecnologie e nella “new economy”. Con i voli “low cost” da tutta Europa, i servizi avanzati, gli investimenti dall'estero, un'economia che cresce a ritmi asiatici, la disoccupazione, almeno a Tallinn, prossima allo zero. Fichissimo, il “presente immanente”, come un'onda da cavalcare senza complessi o sensi di colpa, da veri “surfisti”, come dice il sociologo Zygmunt Bauman, che ha coniato l'espressione “società liquida” per definire una modernità in cui tutto cambia rapidamente e chi si ferma è perduto. La memoria si misura solo in giga-bytes, è quella degli hard disk, non certo quella che ti ricorda da dove vieni per chiarire meglio dove stai andando. E qui entriamo nel “passato rimosso”.
La prima rimozione avviene in modo ufficiale, al momento dell'indipendenza: la repubblica estone nasce il 20 agosto 1991 (all'indomani del tentativo di golpe contro Gorbaciov) come continuazione dell'Estonia indipendente dal 1918 al 1940. Cioè prima delle tre invasioni: quella dell'Unione Sovietica del 1940, in seguito agli accordi di spartizione fra Ribbentrop e Molotov, ovvero fra Hitler e Stalin; quella dei nazisti del 1941; e la seconda invasione dei sovietici nel 1944. Mezzo secolo di storia viene messo tra parentesi, si ritorna direttamente alla presunta “età dell'oro” che ha preceduto la Seconda Guerra Mondiale (mentre invece l'Estonia del presidentissimo Konstantin Pats era un regime autoritario, che aveva sciolto il parlamento e abrogato i partiti).
La prima conseguenza politica è la limitazione del diritto di cittadinanza: il diritto di voto è riconosciuto solo a chi era cittadino estone prima del 1940 e ovviamente ai suoi discendenti. Oltre un terzo della popolazione è tagliato fuori fin da subito: si tratta in gran parte di russi emigrati in Estonia dai tempi di Stalin in poi. Per la nuova repubblica, sono semplicemente “aliens” (un termine emblematico) o “cittadini dell'Unione Sovietica”, che presto diventerà “ex”. Il paradosso è che alcuni di loro continueranno ad essere per anni gli unici cittadini europei con passaporto sovietico, membri di uno stato defunto.
Ora, da un punto di vista estremamente pratico, diciamo di Realpolitik, la scelta poteva anche essere comprensibile, perché buona parte degli “aliens” era sicuramente legata a Mosca e nostalgica del comunismo. Ma, in ogni caso, si poteva chiedere a gente nata e cresciuta in Estonia, spesso alla seconda o terza generazione , una libera scelta di appartenenza, anche perché tutti hanno vissuto per quasi 50 anni sotto il comunismo, mica solo i russi immigrati (o gli ucraini, i bielorussi, i moldavi), e tutti hanno sofferto le restrizioni o goduto dei privilegi di quel sistema. Invece così si è avallata l'equazione comunismo uguale Russia e Russia uguale comunismo, che è di per sé una falsificazione. Certo, l'Estonia ha evitato in questo modo i trasformismi di altre repubbliche ex-sovietiche, in cui “si cambiava tutto per non cambiare nulla”. Ma questa nuova verginità, questo azzeramento totale non ha avuto solo ricadute positive, come gli estoni sembrano credere, e non solo per il problema delle minoranze russofone, come vedremo più avanti.
La seconda rimozione riguarda il periodo dell'occupazione nazista. Sicuramente l'Estonia è stata vittima dei due totalitarismi del Novecento, sottomessa da Hitler come da Stalin, proprio come gli altri paesi baltici, o la Polonia o l'Ucraina, che hanno avuto la sfortuna geografica di trovarsi in mezzo alla tenaglia nazi-bolscevica. Per gli estoni, la vittoria finale di Stalin ha significato morte e deportazioni di massa. Un'autentica decimazione. Ma questa considerazione non è sufficiente a capire la Storia, e trarne gli opportuni insegnamenti. Non si tratta di fare classifiche fra i diversi popoli europei che hanno subito l'occupazione tedesca, ma di capire che le reazioni sono state comunque diverse, per riconoscere le responsabilità e farne tesoro. L'Estonia è stata una nazione diligentemente collaborazionista. Al pari della Lettonia, e più della Lituania, tanto per rimanere fra i paesi baltici, che sono molto meno simili fra loro di quanto siamo indotti a pensare.
Gli estoni furono volontari e coscritti al fianco delle SS. Parliamo di una brigata (i volontari) e di un'intera divisione (i coscritti), cioè di decine di migliaia di persone, che combatterono sul fronte orientale fino alla fine delle ostilità. Non c'è stata traccia di resistenza antinazista, in Estonia, mentre ci sono stati campi di concentramento e reparti della polizia estone che lavoravano a fianco della Gestapo. I combattenti estoni vennero “sdoganati” dal Dipartimento di Stato americano nel 1950: non erano assimilabili ai nazisti, e in ogni caso “non si erano dimostrati ostili agli U.S.A”. Alla fine, nell'insostenibile leggerezza del “passato rimosso”, sono stati considerati comunque “patrioti” in lotta contro il nemico bolscevico, schierati a protezione dell'Europa, come ha sostenuto in parlamento un deputato del partito di estrema destra “Isamaa” (“Patria”). In loro memoria, si era eretto anche un bel monumento nell'est del paese, che poi è stato rimosso in seguito alle proteste della comunità ebraica. Le statue, le contraddizioni, il passato scomodo, i problemi: in Estonia si rimuove tutto. Alla fine il rischio è di rimuovere la verità. Ecco perché gli scontri di aprile per la statua del milite ignoto sono rivelatori, e non dell'arroganza del regime di Putin, che si conosceva già e che certo non sorprende per uno che viene dall'infame KGB; ma del disagio interno della bella smemorata del Baltico.
Prendiamo la versione estone della faccenda, che ha due motivi conduttori, entrambi veri, ma sempre a metà: il primo, quello minimalista, liquida tutto in termini di volgare teppismo, di delinquenza comune spacciata per ribellione politica; il secondo, allarga a dismisura il quadro, e vede dovunque la regia di Mosca: “il monumento era lì da anni e non interessava a nessuno finché non se n'è occupata l'ambasciata russa, a partire dal 2002”.
In effetti, gli scontri sono stati provocati da bande di giovani russi ubriachi che la sera hanno preso il posto dei pochi, pacifici manifestanti, perlopiù nostalgici dell'URSS, veterani di guerra, e rappresentanti della vecchia generazione (quelli che avevano più di 40 anni nel 1991), che è stata tagliata fuori dall'indipendenza e dal boom della “new economy”. I giovani saranno anche russi di origine e capaci magari di disegnare qualche falce e martello o altri simboli sovietici, ma assomigliano molto ai loro coetanei delle banlieues francesi o delle periferie urbane di mezza Europa, e sono semplicemente gli scarti della globalizzazione: senza soldi, senza identità, senza patria, senza religione, senza idee. Chiaro che, in mancanza di meglio, dopo aver sfasciato fermate dei tram e incendiato cassonetti, si sono dati all'assalto dei negozi Hugo Boss e Armani: si prendono quello che la società li obbliga ad avere per esistere, ma senza dare loro i mezzi per ottenerlo.
Sono i figli del vuoto, proprio come i loro coetanei naziskin del bar “Woodstock” (ormai anche i nomi non contano più niente), forse un po' più benestanti, sicuramente avvantaggiati dall'essere di madrelingua estone, ma condannati anche loro a contare quasi niente in un paese che ha trasferito all'estero e nei settori più fluttuanti e impalpabili dell'economia le chiavi della ricchezza nazionale e le leve del comando politico: il commercio con l'estero è tre volte il prodotto interno lordo, l'Estonia è salita fin dagli anni Novanta sull'otto volante della “new economy” e ora non può più scendere, a prescindere dai governi che la guidano, come sostiene un giornalista del “Baltic News Service”. Per sua fortuna, ha a che fare in gran parte con i paesi scandinavi, a partire dalla Finlandia, ed ha una società che vuole darsi una fisionomia scandinava, altrimenti la questione sociale sarebbe già esplosa, altro che vandali.
Ma tutto questo non si dice, l'ottimismo ufficiale non deve venire meno. Ecco perché le manifestazioni celebrative intorno alla statua sovietica del milite ignoto sono state interpretate solo come manovre di Mosca per destabilizzare l'Estonia. La strumentalizzazione del Cremlino c'è stata eccome, ma ciò non toglie che ci fosse anche un movimento spontaneo, che poi era solo un piccolo segnale di un pezzo di società che non si sente rappresentata, che si è sentita disprezzata o comunque ignorata. Ora, il problema della cittadinanza si è andato risolvendo, adesso il settanta per cento dei russofoni ha il passaporto estone, e comunque tutti i nati dopo l'indipendenza sono automaticamente cittadini estoni a prescindere dall'origine. La questione dei diritti politici ormai riguarda sì e no 100mila persone su una popolazione di un milione e mezzo, e comunque anche gli “aliens” hanno diritto di voto almeno alle elezioni locali.
Ma gli “aliens” sono tali soprattutto mentalmente, e non solo perché non vogliono saperne di imparare la difficile lingua estone (anche se gli estoni sono stati per anni obbligati a imparare il russo), ma anche perché rifiutano una modernità in cui non c'è posto per loro. “I russi dell'Estonia, al contrario di quelli della Lettonia, erano in maggioranza proletari venuti qui come manovalanza per le industrie, per le centrali di energia o nelle basi militari sovietiche”, spiega Joseph Katz, ebreo russofono di “Molodezh Estonii”, pubblicazione in lingua russa. “Non hanno mai formato una vera élite, e questo spiega in gran parte la totale assenza di un partito della minoranza russa”. Il che, fra l'altro, aumenta la loro frustrazione. Differenze sociali, linguistiche, di mentalità. Passando da quel piccolo pezzo di territorio russo incuneato fra Polonia e Lituania che è Kaliningrad, cioè la ex Koenigsberg prussiana patria di Kant e di Hanna Arendt, lo si capisce meglio. Certo, alcune caratteristiche sono ormai uguali dappertutto, in Europa. Ma a Kaliningrad la pesante eredità urbanistica dell'era sovietica (che si ritrova anche a Tallinn, comunque) è molto più presente. Però non risulta così tetra o deprimente come si potrebbe immaginare. Qui si respira un'atmosfera un po' malinconica e un po' naif, molto anni Sessanta-Settanta, con la gente che va a pesca sul fiume, le coppiette che si portano il mangiare nei parchi, le famiglie che vanno in visita a quello che è forse lo zoo più triste e abbandonato d'Europa, con la maggior parte delle gabbie desolatamente vuote, e sembrano divertirsi lo stesso. O i ragazzi (e le ragazze) che si dividono la birra in piazza, perché i pochi locali hanno prezzi proibitivi per loro. Tutta roba da “sfigati”, vista da Tallin, che è così “trendy” e “hi-tech”. Ma se uscite dal centro storico e fate un giro dalle parti della stazione ferroviaria, ritrovate la stessa umanità, solo con l'aria più imbronciata, anche se essere poveri in Estonia significa comunque stare assai meglio che in Russia. Anche questo fa parte, in Estonia, del “passato rimosso”. Nessuno sembra ricordare che l'attuale premier Andrus Ansip, classe 1956, riformista liberale in un paese in cui la sinistra semplicemente non esiste, che presiede il “miglior governo d'Europa”, secondo l'”Economist”, era un quadro del partito comunista estone ai tempi dell'URSS. Proprio come l'ex presidente Ruutel. Insomma, per quanto la classe dirigente dell'Estonia sia in gran parte composta da giovani, non sono tutti nati sotto un cavolo, politicamente. Ma non importa, anche Ansip, liberista e monetarista ortodosso, ha fatto “reset” con la memoria: è lui che ha guidato la battaglia per la rimozione della statua, quando si è accorto che agli estoni le celebrazioni dei russi cominciavano a dare veramente fastidio, e che sfoggiare decisionismo e orgoglio nazionale aumentava i consensi. Gli altri partiti lo hanno seguito a ruota, e paradossalmente i meno appassionati sembravano proprio quelli del partito nazionalista “Patria”. Anche questo non è casuale: troppa economia fa male alla politica, che deve pur aggrapparsi a qualche questione di principio, a qualche briciolo di emozione, perché non si vive di soli consumi. O forse sì. E qui veniamo al “futuro eventuale”. Certo, il personal computer, la telefonia mobile, gli I-pod sono la nuova frontiera. La Nokia utilizza da anni l'Estonia come nazione “tester”, e Skype è stata inventata qui, da ingegneri estoni. Nazioni come l'Irlanda o l'Estonia vengono indicate come i nuovi modelli del progresso, tutte flessibilità e investimenti internazionali, società di servizi avanzati, nazioni post-industriali per eccellenza. Però il benessere troppo rapido dà alla testa. Lo abbiamo visto perfettamente in Italia, che pure ha impiegato 40 anni a raggiungere gli standard attuali (che già cominciano ad arretrare). Qui la gente vive semplicemente al di sopra dei propri mezzi, inseguendo consumi drogati da una crescita a due cifre. I contanti sono quasi spariti, tutto si fa con le carte di credito, che però andrebbero chiamate carte di debito. Le famiglie estoni non risparmiano, e non investono nei vecchi beni rifugio della “old economy”. L'economia estone appare legata a filo doppio all'infido mondo della finanza internazionale, come vuole la globalizzazione perfetta. Che cosa succederà, quando il boom entrerà nella fase calante? Chi si occuperà delle fasce deboli, che nessuno rappresenta veramente? E visto che a 16 anni dall'indipendenza gli estoni vivono come separati in casa con le altre minoranze, che cosa succederebbe se si trovassero ad affrontare il problema dell'emigrazione? Quale fede, quale forza d'animo potrebbe trovare una nazione post-cristiana, che ha gentilmente messo da parte la religione (e il matrimonio), tanto da far scrivere su tutte le statistiche che due terzi della popolazione non fa parte di nessun credo? Magari la piccola Estonia sarà in grado di rispondere facilmente a queste e ad altre domande, anche perché non è poi così difficile gestire un milione e mezzo di persone. Ma paesi come l'Estonia non possono rappresentare il modello per l'Europa unita, come Tony Blair e il pensiero unico di stampo anglosassone ci vanno ripetendo da anni, contagiando perfino la Francia di Sarkozy l'“americano”: un'area di libero mercato, con una politica debole e senza molta giustizia sociale, che eventualmente gestisce le contraddizioni relegandole nella sfera dell'ordine pubblico, all'insegna di un “law and order” che vale solo per i perdenti, per gli scarti, sempre più numerosi, del sistema.
Qualcuno con il comunismo ha seppellito ogni discorso sull'uguaglianza, sui pari diritti di tutti gli uomini. Qualcuno riducendo il cristianesimo a tradizione e identità nazionale, o annullandolo come sciocco fardello del passato, ha cancellato qualsiasi discorso sulla povertà, messaggio centrale del Vangelo. E sul senso della vita. Qualcuno pensa che l'Europa sia nata per abbattere l'inflazione e i dazi doganali, e non per dare pace, giustizia e libertà a tutti. Il povero milite ignoto è lì a ricordarlo, ma nessuno sembra volergli credere.Cesare Sangalli