Reportages
Pubblicato su "Galatea" febbraio 1998
Dopo Hong Kong, la Cina riavrà un'altra città - stato
Macao, comunismo e champagne
Quattro secoli di dominio portoghese. Dalla decadenza coloniale al sogno di diventare la “Montecarlo dell'Asia”. Fra antiche chiese cattoliche e modernissimi casinò, le contraddizioni di un'improbabile democrazia cinese
La seta contro l'oppio, il commercio invece della guerra, la “corrotta” indolenza latina al posto dell'intraprendenza “puritana” anglosassone : il destino di Macao è stato scritto fin dal 1557, quando i più grandi navigatori dell'epoca (i portoghesi) approdarono alle coste cinesi senza battaglie sanguinose o sogni imperiali, ma all'insegna dello import-export. Gli esploratori lusitani erano già penetrati in India (Goa) e in Malesia, dove avevano fondato il centro di ogni successiva spedizione: Malacca. Fu da questa città di mare che Jorge Alvares, primo europeo a toccare i mari della Cina, sbarcò in una baia che i cinesi avevano consacrato alla dea A-Ma, signora delle acque e padrona del vento: A- Ma - Gao , “baia di A- Ma”, che diventò “Macau”.
Fin dai primi anni, al commercio dello seta si affiancò l'opera di evangelizzazione. “Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solo perché manca chi li faccia cristiani”: così scrive San Francesco Saverio, il primo dei grandi missionari cattolici in Estremo Oriente, a Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, nel 1544. Una reliquia di San Francesco Saverio (il cui corpo si sarebbe miracolosamente salvato dalla decomposizione) è conservata nell'isola di Coloane, una delle due “appendici” (l'altra è l'isola di Taipa) di Macao.
I missionari arrivati qui non cercarono di imporre il cattolicesimo come in Africa o in Sudamerica. Capirono subito che la cultura cinese era evoluta e raffinata, e che per penetrarla occorreva conoscerla. Matteo Ricci, arrivato a Macao nel 1582, fu uno dei pionieri dell'”inculturazione”, traducendo in cinese le Sacre Scritture e in italiano alcuni testi di Confucio (che giudicava assolutamente compatibile con il messaggio cristiano). Sul piano puramente quantitativo i risultati dell'evangelizzazione non sono stati spettacolari (a Macao i cattolici sono oggi solo 23mila), ma l'approccio morbido fra Occidente e Oriente ha determinato i “cromosomi” culturali di questa città davvero unica.
Secoli e secoli di convivenza pacifica, difesa anche a colpi di cannone contro i più temibili rivali dei portoghesi dell'epoca in questa parte del pianeta, gli olandesi. Neanche l'arrivo degli inglesi ad Hong Kong, in seguito alla crudele “guerra dell'oppio” (1840) che mise in ginocchio la Cina, cambiò la realtà di Macao, che continuò a vivere e prosperare nel commercio. Ma l'avvento delle navi a vapore condannò alla decadenza il porto della città lusitana, che aveva fondali bassi, più adatti ai velieri . Il Portogallo era già sparito dalla Storia, l'Inghilterra vittoriana della seconda rivoluzione industriale dominava il mondo, e Hong Kong diventava “la perla della Corona” di Sua Maestà Britannica. A Macao, ormai cittadina provinciale dimenticata dal resto del mondo, restarono i ricordi e la “saudade” di tante città di mare portoghesi: un eterno tramonto. Solo durante la seconda guerra mondiale, con l'occupazione giapponese di Hong Kong, la città (territorio neutrale) visse un torbido riscatto fatto di traffici, spionaggio e asilo politico, per poi tornare all'indolenza di sempre. Il Portogallo viveva il limbo della dittatura di Salazar prima e di Caetano poi, cioè il più duraturo regime fascista mai visto in un paese europeo. La “rivoluzione dei garofani” del 1974 cambiò tutto: il regime era caduto dalla disfatta militare nelle colonie africane (Angola, Mozambico, Guinea Bissau), ogni traccia residua di colonialismo doveva essere cancellata, Macao andava restituita ai cinesi, alla Repubblica popolare di Pechino. Incredibile ma vero, la città venne “rifiutata” dai dirigenti comunisti , alle prese con la difficile successione di Mao Zedong.
Macao divenne così “territorio cinese sotto amministrazione portoghese”, senza grandi risonanze e grandi patemi: sembra assurdo, rispetto alla spettacolarità del ritorno alla Cina di Hong Kong.
Eppure, mentre ad Hong Kong la “Union Jack” è già stata ammainata, la bandiera rossoverde del Portogallo continuerà a sventolare in cima alla “Fortaleza da Guia”, il punto più alto di Macao, fino al 20 dicembre 1999.
Due anni per spiare il futuro della Repubblica popolare cinese, per capire le insidie del progetto tracciato da Deng Xiaoping: “un Paese, due sistemi”. Comunismo e capitalismo. Oppure democrazia e totalitarismo. Ovvero, terza via - la più probabile - 200 milioni di cinesi benestanti e modernizzati rispetto ad un miliardo di poveri di un Paese del Terzo Mondo come tanti altri. Senza veri diritti politici per nessuno. Ad Hong Kong la breve esperienza democratica è già finita: il parlamento eletto a suffragio universale è stato sostituito da un'assemblea nominata da Pechino. Per il mondo della finanza va benissimo così, anche se l'opposizione guidata da Martin Lee promette battaglia.
Visto da Macao, il futuro appare meno inquietante. Soprattutto dal punto di vista dei giovani, degli studenti, i potenziali protagonisti del futuro. Non c'è un vero conflitto generazionale: se da una parte le vecchie generazioni sembrano accettare meglio il baratto fra libertà civili e benessere economico, dall'altra il ricordo dell'oppressione comunista è ancora molto forte, tanto da indurre alcune famiglie (soprattutto quelle benestanti di lingua portoghese) all'emigrazione. All'università di Macao, autonoma e pubblica dal 1988 (prima apparteneva a privati di Hong Kong), il clima è tranquillo: nelle aule moderne e ben attrezzate, di stile americano, gli studenti non sembrano temere il passaggio alla Cina di Jiang Zhemin.
“Dopo i fatti di Tien An Men eravamo tutti scioccati, ma adesso non ho paura. Macao è sempre stata cinese, è normale che torni alla madrepatria”: c'è un pizzico di orgoglio nazionalista in Yvonne Wong, 20 anni, studentessa di Scienze sociali, e anche molto realismo: “I cambiamenti richiesti nel 1989 erano eccessivi. Bisogna procedere gradualmente, arrivare alla democrazia passo per passo”. La sua amica, Joanne Loi, è d'accordo: “Non bisogna infrangere la legge. Io faccio quello che voglio, senza urtare nessuno. Posso lottare per il mio sogno”. Cioè studiare, trovare un lavoro, vivere in questa piccola città, molto più tranquilla della frenetica Hong Kong.
In effetti, girando fra Rua da Praia Grande e il tempio di A-Ma, scendendo dalla chiesa di “Nossa Senhora da Penha” verso la piazza del Leal Senado, si vedono volti felici: i ragazzi delle scuole salesiane che giocano a calcetto, i vecchi che danzano il “tai-chi” nei giardini di Lou Lim Ieoc, le mamme con i bambini nell'immancabile “MacDonald's”, le ragazze eleganti che sfrecciano sugli scooter. Il dubbio è inevitabile: la democrazia è una fissazione occidentale?
“La partecipazione alla vita politica è scarsissima. Alle prime elezioni libere nel 1988, la percentuale dei votanti fu del 30 per cento. Interessano gli affari, non la politica”: Padre Albino Bento Pais, direttore del settimanale “O Clarim”, sembra rassegnato. “La comunità cinese si è opposta ad una legge che garantiva una maggiore libertà di stampa. Gli abitanti di Macao sono nazionalisti, non hanno sviluppato un'autonomia come ad Hong Kong. I loro leader, come Edmundo Ho sono legati a Pechino, spesso sono membri del Congresso del Popolo”.
Transizione indolore, quindi, a patto di non toccare il benessere. Non dovrebbe essere difficile, visto che il tasso di crescita dell'economia, dopo il boom degli anni Ottanta, è stabile intorno al 4-5 per cento annuo, la disoccupazione è da anni inferiore al 5 per cento e l'amministrazione portoghese dispone di un bilancio in attivo per un miliardo e mezzo di “patacas” (circa 350 miliardi di lire), per una popolazione di 425mila persone.
Macao si sta proponendo soprattutto come città del terziario avanzato, con le caratteristiche del “porto franco” per attività commerciali e finanziarie. Rispetto ad Hong Kong, offre prezzi molto bassi sia per gli immobili che per il personale qualificato, ed una superiore qualità della vita. Un piccolo paradiso, preso d'assalto ogni giorno da migliaia di lavoratori cinesi che arrivano a Macao dalle “Portas de Cerca”, il confine con la Cina, per lavorare nei numerosi cantieri della città o nelle fabbriche di tessuti e di materiale elettronico. Chi può, con un affitto pari a centomila lire su un salario di mezzo milione, si cerca un buco nel quartiere più densamente abitato del mondo: Yao Hon. I grattacieli poveri della città, i palazzoni di cemento cresciuti uno accanto all'altro senza alcun criterio urbanistico, si sminuzzano al loro interno in centinaia di appartamenti o di stanze, spesso non diverse dalle famigerate “gabbie” di Hong Kong. E' il lato oscuro del miracolo economico, che qui è comunque molto meno stridente che in altre città, anche per le dimensioni lillipuziane di Macao ( solo 21 chilometri quadrati).
In questa zona di frontiera opera un giovane missionario italiano, padre Corrado De Robertis: “La maggior parte degli abitanti di Macao è costituita dai contract workers che restano un paio di anni e poi cercano di aprire un'attività a casa loro. E' chiaro che queste persone non possono sentirsi parte di una comunità”. Ma il problema vero è un altro: “I cinesi sono terribilmente pragmatici per tradizione. Il comunismo e soprattutto la rivoluzione culturale del 1966 hanno distrutto le coscienze individuali. Il messaggio del partito oggi è quello di arricchirsi, il resto è retorica. Per questo il degrado morale è incredibile. Nel 1999 non cambierà assolutamente niente: il gioco d'azzardo andrà avanti tranquillamente. Mao si rivolterebbe nella tomba”.
Il gioco d'azzardo è la base portante dell'economia di Macao: rappresenta il 40 per cento del Pil e copre il 58 per cento del bilancio municipale. L'amministrazione portoghese e la STDM (Società per il turismo e i divertimenti di Macao) vivono praticamente in simbiosi: al potere politico del governatore Vasco Rocha Vieira si affianca quello economico di Stanley Ho, 75 anni, direttore della STDM, che dal 1962 gestisce in regime di monopolio gli undici casinò di Macao e le principali strutture turistiche.
Roulette, black-jack , slot machines, corse dei cavalli e dei cani, lotterie abbinate al Gran Premio di Formula 3: a Macao ci si può rovinare tranquillamente, i neon fluorescenti delle case di pegno fanno a gara con quelli dei negozi di gioielli e di moda. Eppure la vita scorre placida come in una cittadina di provincia: forse perché è tutto così intimo, qui, che si impara a convivere. A due passi dalla Chiesa di San Agostinho ci sono le prostitute di Rua Guimaraes; accanto al Casinò Lisbona, la biblioteca municipale; i campi di calcio a cinque confinano con i locali porno gestiti dai thailandesi; e dal “Canidrome”, dove corrono i levrieri allevati in Australia, si passa al mercato del pesce, con le navi attraccate in un porto sempre più fermo.
La frenesia di Hong Kong o di Taipei non è mai arrivata fin qui: vivi e lascia vivere, sembra essere il motto di questi portoghesi dagli occhi a mandorla. La Cina “comunista”, dall'altra parte dell'estuario del Fiume delle perle, appare più lontana che mai. Almeno come il Duemila.
Cesare Sangalli
Parlano i rappresentanti del governo e dell'opposizione
Democrazia “alla cinese”? Sì, no, forse
Gli accordi fra Cina e Portogallo garantiscono le istituzioni “occidentali” di Macao. Ma la città non ha mai vissuto una vera vita democratica. E nel '99 arriveranno i comunisti. Incontro con i protagonisti della transizione.
Mister Kwok Cheong è gentile, preciso, dinamico. Ventinove anni, laurea in economia all'università di Hong Kong, assomiglia più ad uno dei tanti manager che si incontrano a Macao che a un leader carismatico: anche il tono di voce è pacato, le idee moderate, gli slanci contenuti. Eppure è lui la figura di spicco dell'opposizione, il più amato dai giovani (che ne apprezzano soprattutto il grande lavoro, la capacità di spendersi per la gente), il “Martin Lee di Macao”. Guida l'”Unione per lo sviluppo democratico”, un'associazione politica e non un vero e proprio partito, che alle ultime elezioni ha avuto il 20 per cento dei consensi. Come tanti giovani della sua generazione, ha iniziato a occuparsi di politica negli anni Ottanta, ma l'impegno vero e proprio è iniziato dopo i fatti di Tien An Men, nel giugno del 1989.
Quanto “pesa” Tien An Men, la repressione violenta delle manifestazioni pacifiche degli studenti cinesi, nella coscienza collettiva dei macaensi?
“I fatti del 1989 hanno creato soprattutto un sentimento di paura. Tutti hanno pensato che quello che era successo a Pechino avrebbe potuto succedere qui. La contestazione di Tien An Men ha avuto il merito di costringere tutti a prendere posizione di fronte alle richieste di rinnovamento che venivano dalla società. La domanda di cambiamenti nel sistema politico cinese è forte, e i macaensi vorrebbero che il ciclo di riforme, iniziato nell'87, andasse avanti”.
Come si spiega la scarsa partecipazione dei cittadini alla vita politica?
“Con la forte influenza dei poteri tradizionali: dirigenti, imprenditori, rappresentanti di categoria. Il loro atteggiamento è estremamente conservatore. Perfino ad Hong Kong, dove la società civile è più evoluta e aperta, l'élite finanziaria si è schierata compatta contro qualsiasi cambiamento democratico. Qui a Macao il 75 per cento dell'informazione è in mano ai ceti conservatori: non riusciamo a far conoscere le nostre idee”.
Lei è cattolico, membro della Caritas di Macao. Qual è il ruolo della Chiesa cattolica, in questa fase di transizione?
“ La Chiesa cattolica risente ancora adesso dello shock rappresentato dalla Rivoluzione culturale del 1966 in Cina. L'atteggiamento nei confronti della pratica religiosa fu così ostile che i cattolici si ritirarono completamente dalla vita pubblica, scegliendo la linea del compromesso totale. Qui a Macao le associazioni cattoliche, spesso guidate da persone anziane, hanno un atteggiamento più che prudente. Ma l'importanza della Chiesa cattolica si sente moltissimo a livello scolastico: non a caso più della metà degli intellettuali di Macao è stato formato nelle scuole cattoliche. Questo vale anche per Hong Kong, se si pensa ad un leader come Martin Lee”.
In Europa è difficile farsi un'idea sul futuro della Cina. Qual è l'atteggiamento più corretto da tenere nei confronti della Repubblica popolare?
“Parlando della Cina, occorre ricordarsi sempre che la stragrande maggioranza dei cinesi è povera e vive nei villaggi, in un contesto rurale, mentre gli europei hanno presente soprattutto un modello ricco e urbanizzato di società. In Cina la democrazia si svilupperà con lo sviluppo economico. E' importante però tenere presente che sui princìpi fondamentali, sui diritti umani, non può esistere una “via asiatica” alla democrazia. Solo il modello di organizzazione politica può essere diverso”.
Macao, con la sua storia particolarissima, è avanti o indietro nel processo di democratizzazione, rispetto alla Cina e a Hong Kong?
“La gente comune è apolitica, non ha ancora capito l'importanza della partecipazione. Se la società civile delega tutto ai politici, sono sempre le persone più deboli a pagare. Noi stiamo lavorando per migliorare la coscienza civica, e le cose stanno lentamente cambiando; la televisione, per esempio, ha contribuito positivamente: oggi nelle famiglie cinesi si parla molto di più rispetto al passato. Io credo che il problema più grosso per Macao sia la mancanza di una vera classe dirigente, di un ceto politico con esperienza sufficiente. Di questa mancanza, l'amministrazione portoghese ha indubbiamente la responsabilità più grossa”.
Difficile trovare riscontro nelle posizioni ufficiali degli amministratori. Il governatore Rocha Vieira ha un atteggiamento da viceré, si nega perfino alla stampa di lingua portoghese, è quasi irraggiungibile. Il coordinatore legale del governo portoghese, dottor Nuno Calado, al contrario è aperto e disponibile, pronto ad affrontare ogni questione senza reticenze, insieme al suo assistente, Sam Chan Io, 37 anni, insegnante di diritto all'università di Macao.
Perché a Macao non si è sviluppata una vera vita democratica?
“Per la composizione etnica della città, in primo luogo. Perché vi sia una vita democratica occorre innanzi tutto che ci sia un senso di appartenenza alla città: a Macao i due terzi della popolazione sono arrivati negli ultimi venti anni. Per la Costituzione potevano votare solo le persone che avevano la cittadinanza portoghese. Dal 1989, è stato deciso di dare la cittadinanza a chi risiedeva a Macao da almeno sette anni. Oggi gli elettori sono circa centomila su una popolazione di mezzo milione di persone”.
Ma l'affluenza alle urne è deprimente (il 30 per cento alle prime elezioni vere) e solo un terzo dei seggi è elettivo...
“E' vero, il modello democratico adottato a Macao è largamente imperfetto. Però bisogna tenere presente che la tradizione cinese è consensuale, è molto difficile ritrovare nella società quella conflittualità a cui siamo abituati in Europa”. “Non siamo ancora pronti - aggiunge Sam Chan Io - ad un confronto duro. La nostra tradizione di armonia è legata al confucianesimo, che la dottrina marxista pensava di poter sradicare, ma che invece è riemerso più forte che mai. Deng ha capito questo, e ha cominciato, gradualmente, le riforme. I giovani che incontro all'università cominciano ad avere una mentalità diversa ma ci vorrà tempo e, soprattutto, gradualità”.
Mi sembra strano che la popolazione di Macao nel 1997 possa essere meno pronta di quanto lo fosse l'Italia, per esempio, nel 1948...
“Io credo che la coscienza civica sia legata soprattutto all'esistenza di una classe media e al suo grado di evoluzione. Questo è il problema della Cina e, all'inverso, di Hong Kong , dove esiste una classe media forte e progredita. Macao è in mezzo a queste due realtà”.
Lo sviluppo economico, quindi, porterà con sé anche lo sviluppo democratico?
“Il processo non è semplice, né tantomeno automatico. Però se una persona può scegliere, anche solo parzialmente, dove vivere e che lavoro fare, comincia a formarsi una coscienza. Se lo Stato o il Partito scelgono per te, la tua coscienza viene castrata”.
Siete preoccupati per il futuro di Macao?
“No, perché tutti i diritti previsti nella Costituzione portoghese verranno applicati integralmente a Macao, come previsto dagli accordi del 1986”.
Cesare Sangalli