Reportages
Pubblicato su "Avvenimenti", ottbre 1998
Come rinunciare alla libertà e vivere “felici”
Siria, la dittatura dal volto umano
Lo stato costruito da Assad non è mai stato così prospero e potente. Giustizia sociale, sviluppo economico, armonia fra Islam e modernità. Il “leone di Damasco” guida un regime definito “il più autocratico del mondo”, eppure la gente sembra essere tutta con lui. Ma già si parla della sua successione...
Il primo impatto è così positivo che verrebbe voglia di trasferirsi da queste parti. Niente a che vedere con il caotico e triste sviluppo del Libano, e nemmeno con l'aggressività da occidentali con il mitra che si avverte in Israele. Superati i fastidiosi riti della burocrazia militare (con i soldati siriani che, serissimi, ti “leggono” il passaporto al contrario), entrati finalmente in Siria, sembra di vivere il meglio del Medio Oriente, la più armonica delle società arabe. Armonia è la parola chiave. Pace sociale, equilibrio, coesistenza pacifica. Strano, per quello che dovrebbe essere uno dei santuari del terrorismo internazionale, da sempre in guerra con Israele, da sempre in mezzo alle tensioni di quella polveriera che è il Medio Oriente contemporaneo.
“La Siria è un paese di 17 milioni di abitanti dove non esistono conflittualità interne a nessun livello”, sostiene Antonio Napolitano, ambasciatore italiano a Damasco: “C'è una lunga tradizione di convivenza fra etnie e religioni diverse. Siriani, armeni, curdi, palestinesi; e, dal punto di vista religioso, musulmani sunniti, sciiti, alawiti, cristiani ortodossi e cattolici di rito diverso. Come in Libano, solo che in Libano si è cercato di imporre una “monocoltura” cristiana, e questa è stata la vera origine della tragedia”.
Il presidente Hafez Assad era forse il leader più indicato per garantire il delicato equilibrio siriano. Originario di una povera famiglia alawita dei monti che guardano il Mediterraneo nella regione di Latakia, sa cosa significa l'esclusione sociale e la marginalità etnica. Gli alawiti sono una piccola minoranza che in passato era trattata con supponenza (per non dire con disprezzo) dall'aristocrazia terriera e dalla borghesia sunnita e cristiana che viveva in città. Contadini nelle loro regioni montuose, servitori in città (la domestica alawita era una figura classica a Damasco), considerati musulmani ai limiti dell'eresia, gli alawiti (il sei per cento della popolazione) oggi rappresentano l'élite in Siria, grazie alla loro intraprendenza e tenacia e soprattutto grazie ad Assad, che ha piazzato uomini del suo clan nei ruoli chiave dello Stato (principalmente nei servizi segreti e nell'esercito).
L'abilità del presidente nella gestione del potere è sicuramente straordinaria. La storia della Siria dall'indipendenza (1946) alla definitiva conquista del potere da parte di Assad (1971) sembra scritta da un autore di thriller a sfondo politico: complotti, tradimenti, colpi di stato, anarchia strisciante. Assad, nato nel 1930, ha vissuto buona parte di questa storia. Ufficiale dell'aeronautica ai tempi dell'unione con l'Egitto di Nasser (1958), già militante del Baath (partito nazionalista arabo di ispirazione marxista, lo stesso del rivale iracheno Saddam Hussein), Assad ha partecipato a due successivi colpi di stato negli anni Sessanta, e si è liberato di tutti i suoi compagni di avventura per rimanere da solo in cima alla piramide. E la Siria ha cominciato a crescere.
Una crescita tumultuosa dal punto di vista demografico (ad un tasso del 3,8 per cento all'anno, un dei più alti del mondo), accompagnata però dallo sviluppo economico e da adeguate politiche sociali. Non ci sono bidonvilles, non c'è miseria, l'istruzione è gratuita, il sistema sanitario funziona bene. Le città siriane sono ordinate e abbastanza pulite, le politiche urbanistiche hanno saputo rispettare la fisionomia dei centri storici. Damasco è una capitale tranquilla e vivibile.
I ritardi dovuti all'economia pianificata, di stampo socialista, sono stati attenuati da una graduale apertura all'iniziativa privata (soprattutto con la legge numero 10 del 1990) e ai capitali stranieri. L'Italia è ai primi posti per lo scambio commerciale con la Siria, gli investimenti aumentano di anno in anno (dalla linea O-12 di Benetton alla pasta Di Vella).
Non c'è traccia di contrasti religiosi, non c'è il minimo segnale di fanatismo, di fondamentalismo. Assad è stato attento a non cercare di imporre il laicismo in un paese estremamente suscettibile in tema di religione. Ha restituito ai cristiani le scuole private che erano state nazionalizzate alla fine degli anni Sessanta. La religione (islamica o cristiana) è materia di studio obbligatoria nelle scuole e nei concorsi pubblici è spesso materia di esame (cattolici, protestanti e ortodossi hanno elaborato un testo unico). “I privilegi di cui godiamo non esistono nemmeno in Europa” afferma il vescovo cattolico di rito armeno Boutros Marayati: “La Chiesa non paga tasse sui beni di importazione, né tasse municipali. Acqua corrente ed elettricità per tutti i luoghi di culto (chiese o moschee) sono gratuite. Noi cristiani ci sentiamo tutelati e il nostro dialogo è migliore con i musulmani praticanti che non con quelli troppo laici”. Con due divieti da non infrangere mai: parlare delle altre religioni e, soprattutto, di politica.
Per un vescovo come Boutros Marayati questo non deve essere un grosso problema, visto che nelle sue stanze un ritratto di Assad è appeso proprio accanto al crocifisso, e vista la sua ammirazione totale per il presidente. Per uno straniero, invece, la presenza ossessiva del volto di Assad comincia ben presto a diventare insopportabile. Come diventa insopportabile l'apparente unanimità di consensi, l'apologia del Padre di questa nazione felice e (politicamente) castrata. “Nella mentalità orientale il Capo dello Stato è visto come un padre di famiglia, a cui si devono rispetto e devozione”: questo è la principale chiave di lettura che viene offerta al giornalista. Intanto però vieni gentilmente invitato a presentarti al Ministero dell'Informazione, dove ti lasciano gentilmente intuire che sei sotto controllo. E il quadretto idilliaco comincia a diventare sempre più opaco.
Non è solo il relativo benessere e il buon grado di giustizia sociale e tolleranza religiosa a tenere insieme la nazione di Assad. Il cemento con cui è stata fondata la Siria moderna si chiama anche e soprattutto paura.
Otto diversi reparti dei servizi di sicurezza mantengono un controllo capillare, continuo della società. Un paese di spie, informatori, delatori. A volte la paranoia sconfina nel ridicolo: quasi tutti gli ambulanti vengono considerati sospetti. La Siria è sottilmente, terribilmente “double face”. L'emblema dello Stato di Assad può essere la città di Hama. Una piccola città incantevole, come uscita da un dépliant di agenzia turistica. Il fiume Oronte la attraversa, facendo girare le grandi norie, le antiche ruote idrauliche che sono un po' l'attrazione di Hama.. La gente passeggia tranquilla, nel verde dei parchi, lungo le rive del “fiume ribelle”, “Nahr al- Assi” (questo è il significato, involontariamente simbolico, del nome arabo dell'Oronte). Di fronte alla moschea di An-Nuri, l'imponente Apamee Cham Palace Hotel, modernissimo, lussuoso. Costruito (si dice) sopra i cadaveri di migliaia e migliaia di siriani, massacrati nel 1982 per ordine di Assad. Hama è (era) da sempre la roccaforte del fondamentalismo sunnita, il centro dei nemici giurati di Assad, i Fratelli Musulmani. La ribellione degli islamici fu aperta, violenta: a farne le spese furono soprattutto militari e insegnanti, come in Algeria. Assad decise di estirpare il focolaio integralista una volta per tutte: interi quartieri vennero rasi al suolo, il numero delle vittime non si saprà mai con esattezza (secondo alcune fonti furono uccise 25mila persone). Non c'è traccia, oggi, di quella carneficina. Per i turisti ignari che sempre più numerosi visitano la Siria (da Hama partono le escursioni per il Crac dei Cavalieri) è impossibile immaginare che un posto così tranquillo sia stato lo scenario di tanta violenza. Come è impossibile immaginare che Damasco sia stata (e in parte continui ad essere) un covo di terroristi. Mai fidarsi delle apparenze.
Così, anche se nessuno ufficialmente si preoccupa della successione di Assad, si avverte chiaramente che le incognite sul futuro della Siria sono molte. E pesano sul Libano, sulla pace con Israele, sulla creazione di uno stato palestinese, sui rapporti con la Turchia. La battuta più ricorrente, da queste parti, è che la situazione in Medio Oriente può cambiare in 48 ore o restare uguale per venti anni. Insciallah.
Cesare Sangalli