Reportages
Pubblicato su "Diario" aprile 2002
A dieci anni dall'indipendenza l'Europa è ancora lontana
Ucraina, una nazione a metà
Terra di frontiera e di conquista, teatro di tutte le battaglie che riguardavano la Russia madre e matrigna, l'Ucraina non ha ancora scelto la sua identità, e rimane sospesa fra Est e Ovest, fra democrazia e dittatura, fra miseria e nobiltà. Viaggio nella linea d'ombra che impedisce un'Europa “dall'Atlantico agli Urali”La stazione centrale di Kiev sembra un teatro in attesa di una grandiosa inaugurazione. Va in scena l'anniversario dell'indipendenza: 24 agosto 2001, dieci anni di storia post-sovietica. C'è un viavai febbrile di operai, muratori, tecnici, viaggiatori un po' sconcertati, curiosi che si guardano intorno (alcuni sono chiaramente alticci), poliziotti annoiati. Si passa dai vecchi binari con vecchie carrozze demodé alle pensiline futuriste di acciaio brillante, fra polvere, pittura fresca, apparecchi telefonici ancora avvolti nella plastica. Lavori in corso, ma si potrebbe dire “prove tecniche di nazione”: l'Ucraina sembra volersi scrollare di dosso la patina di decadenza che avvolge il “look” imperiale degli enormi palazzi, dei monumenti tronfi del socialismo reale, dei larghi boulevard (si chiamano così anche in ucraino), dei ponti sul fiume Dnepr, che fanno di Kiev una capitale bella e imponente.
In due settimane (prima e dopo la festa dell'indipendenza) si passa dagli orari dei treni scritti in gesso sulla lavagna, aggiornati e declamati da un'impiegata che sembra una maestrina, ai display elettronici con scritte mobili in ucraino, russo e inglese. Ma l'inefficienza e l'arroganza dei funzionari delle ferrovie, che non sanno una parola di qualsiasi lingua che non sia l'ucraino (o il russo), è del tutto invariata. Fare un biglietto del treno, o semplicemente trovare il binario è un'impresa notevole, quasi esasperante.
E' difficile telefonare all'estero, spedire una lettera, cambiare lire italiane, ritirare soldi. Eppure la modernità, almeno a Kiev, sembra trionfare: ci sono computer e telefoni cellulari, antenne paraboliche e auto di lusso, pubblicità sgargianti e abbigliamento di tendenza. Per questo la realtà ucraina sembra concepita apposta per alimentare un umorismo amaro alla Dovlatov (giornalista ai tempi dell'Unione Sovietica, poi scrittore negli Stati Uniti), autore del bellissimo “Compromessi”. I mille compromessi che il povero cittadino sovietico, ora solo ucraino, doveva e deve raggiungere ancora oggi con una burocrazia ottusa, militaresca, spesso corrotta fino al midollo. Tutto sommato va meglio con la polizia, nel senso che in giro ce n'è davvero poca, ovunque si respira un clima di tranquillità e non si avverte quella cappa di oppressione descritta da molti corrispondenti, davvero troppo funerei nel parlare di questo paese.
La mentalità da burocrati si estende un po' a tutto il settore dei servizi, e questo è veramente il gap più grande rispetto alle nostre società post-industriali o di “terziario avanzato”. D'altra parte, un lavoratore ucraino su quattro è un agricoltore (in Italia uno su venti), poi ci sono le miniere e le industrie pesanti (molte delle quali sono fabbriche belliche riconvertite): insomma, la composizione sociale ricorda l'Italia di trent'anni fa, ma con strutture economiche più obsolete (quasi il settanta per cento della terra coltivata è ancora proprietà statale gestita collettivamente). E qui non si parla di classe imprenditoriale, ma di “oligarchi”, proprio come in Russia.
La casta politica si è impadronita di molte delle risorse collettive e dei settori strategici (prima fra tutti quello energetico, ora anche le telecomunicazioni), ha sfruttato le grandi svalutazioni della moneta nazionale e del rublo seguite alla fine dell'URSS per speculazioni faraoniche (mettendo il bottino al sicuro nelle banche occidentali), qualche volta si è lanciata in attività illecite tout court.
Il risultato è evidente: società civile debole e passiva da un lato, scarso senso dello Stato dall'altro. Gli ucraini sembrano un popolo in coda, disciplinatamente in attesa di essere maltrattati e sfruttati da tutti quelli che dovrebbero lavorare per loro (giudici, poliziotti, funzionari, postini, centraliniste, e così via). Una corruzione spicciola da repubblica delle banane, in un ordine di tipo tedesco. Divise impeccabili e comportamenti cialtroneschi, fin dalla frontiera con l'Ungheria. Distinte signore anziane che raccattano le bottiglie di birra dai tavolini dei bar. Altre distinte signore anziane che ti offrono la compagnia di “belle ragazze ucraine” (finalmente qualche parola di italiano). Gli ucraini si ubriacano senza fare casino. Alla grande parata della festa di indipendenza, organizzata in pompa magna, non applaude quasi nessuno (anche se alcuni giornalisti italiani hanno parlato di “febbre nazionalista che minaccia l'Europa”). Davanti all'ambasciata italiana c'è sempre una lunga coda di donne in attesa del visto per l'espatrio. I mercatini sono affollati ma silenziosi.
Lo stadio della gloriosa Dinamo Kiev è praticamente incustodito (si può arrivare fino al terreno di gioco, tanto non c'è nessuno) e le biglietterie sono chiuse due giorni prima di una partita di “Champion's League”. La notte, gran parte della capitale rimane senza illuminazione, per risparmiare energia. La mattina, prima delle nove, c'è pochissima gente in giro.
In altre parole, questa nazione sembra soffrire di una depressione collettiva latente. Chissà se questo spiega uno strano primato mondiale dell'Ucraina, quello delle morti per ictus. Sicuramente altre statistiche (peraltro simili a quelle di molte ex repubbliche sovietiche) descrivono meglio il disagio dei nostri fratelli europei più a est.
In Ucraina si fanno pochi figli (il tasso di natalità è vicino a quello italiano, uno dei più bassi del mondo), la crescita zero è già un fatto compiuto da anni, così come il progressivo invecchiamento della popolazione, che ha cominciato a diminuire (attualmente gli ucraini sono 52 milioni senza contare quelli della diaspora). L'Ucraina è a livelli di record (subito dietro Stati Uniti e Russia) per il numero di divorzi. E stranamente è uno dei paesi al mondo con più donne rispetto agli uomini (il rapporto è di 100 a 88, il gentil sesso prevale di oltre tre milioni).
Le donne ucraine. Alte, bionde, atletiche, camminano da sole con incedere sicuro, fra orgoglio e insoddisfazione. Il “look” in Ucraina punta decisamente sul sexy: tacchi alti, spacchi vertiginosi, scollature abbondanti, ombelichi in vista. Sono cenerentole vestite da femme fatale, in attesa di un principe azzurro che le porti via, in un mondo più scintillante, più ricco di futuro. Via da un paese che giudicano triste, anche se il peggio della crisi economica è alle spalle, l'Ucraina (come la Russia da cui dipende economicamente è in faticosa ripresa, e l'indice di sviluppo umano è più che decente (52° posto nel mondo, alla pari con il Messico). Ma la tristezza dei “piccoli russi” (così si chiamavano anticamente gli ucraini) viene da lontano, da un tragico passato di sottomissione e dall'impossibilità o incapacità di ribellione.
L'Ucraina è geograficamente tagliata in due dal maestoso bacino del Dnepr, e su questa linea venne spartita fra Russia e Polonia nel 1667. Conquistata cioè da una nazione (la Polonia) destinata a sua volta ad essere più volte oggetto di spartizioni, sempre a metà fra gli appetiti tedeschi e quelli russi. Ma il nazionalismo ucraino, declamato nell'Ottocento dal poeta Taras Shevchenko (l'eroe più gettonato da queste parti), è sempre stato perdente, al contrario di quello polacco. Un nazionalismo cupamente slavo, intriso di antisemitismo, come giustamente ha ricordato Gad Lerner nei suoi recenti reportages sull'Ucraina: il sogno di una nazione indipendente “ha dovuto battersi contro troppi nemici, trovando infine negli ebrei il bersaglio più comodo”.
Perfino la Rivoluzione d'Ottobre sacrificò l'Ucraina sull'altare della Realpolitik: la Repubblica popolare, proclamata nel 1917, ebbe vita effimera. Lenin doveva salvare il fragile regime bolscevico dall'invasione tedesca, e chiuse il fronte orientale firmando l'umiliante pace di Brest-Litovsk: il paese venne ceduto completamente alla Germania dell'imperatore Guglielmo.
La fine della Prima Guerra Mondiale trasformò per due anni l'Ucraina nel vero campo di battaglia fra bolscevichi e generali bianchi, con la vittoria finale dei primi e la creazione (1922) dell'Unione delle repubbliche socialista sovietiche, di cui l'Ucraina fu membro fondatore. L'alleanza con la Russia in nome del comunismo è parte del DNA storico-politico dell'Ucraina e spiega in buona parte la situazione attuale e le profonde differenze con altre ex repubbliche sovietiche.
Non c'è stato un vero precedente storico di indipendenza, anche breve, come per esempio in Georgia, dove il movimento indipendentista si è richiamato direttamente alla costituzione del 1918. Né si può dire che la sovietizzazione sia avvenuta con una conquista militare, come per le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania), annesse di forza all'URSS nel 1939. Non esistevano neanche le differenze etniche e culturali che hanno in qualche modo salvato le repubbliche sovietiche dell'Asia centrale. No, l'Ucraina ha pagato tanto, ha pagato sempre, ha conosciuto tutte le disgrazie dei russi senza averne i (limitati) vantaggi.
Così, l'avvento dello stalinismo e la fine della NEP (Nuova Politica Economica, la politica di compromesso voluta dal pragmatico Lenin per superare i danni della guerra civile) hanno procurato all'Ucraina ferite insanabili.
Qui, nella fertile terra nera, conosciuta come “granaio d'Europa”, erano concentrati i kulaki, i piccoli e medi proprietari terrieri, contro i quali si abbatté la furia di Stalin. Per collettivizzare la terra e dare la priorità all'industrializzazione forzata, i kulaki vennero indicati come nemici borghesi e uccisi, deportati, lasciati morire di fame. A milioni.
Negli anni Trenta l'Ucraina perse tutta la sua classe dirigente, e buona parte della popolazione attiva. Il dramma di questa nazione disgraziata non era ancora finito: occupata dai nazisti nel 1941, il paese ha vissuto il dramma della Seconda Guerra Mondiale sul fronte più sanguinoso in assoluto (nessuno stato ha avuto tante vittime come l'Unione Sovietica). Circa sei milioni di ucraini morirono nel corso del conflitto. Una nuova carneficina, a decimare una popolazione numerosa come quella italiana.
Un legame fatale, quello con la Russia, con il comunismo. Qui il regime è stato più duro e repressivo che altrove. Ogni rigurgito di “dissidenza” (come veniva definita negli anni Settanta) fu cancellato dal segretario del Partito comunista ucraino Vladimir Sherbitsky, un fedelissimo di Breznev. A Kiev come a San Pietroburgo (fucina del governo Putin) il KGB era il più duro e reazionario di tutta l'URSS. La perestroika di Gorbaciov non arrivò mai in Ucraina, e Sherbitsky rimase tranquillamente al suo posto fino al 1989. L'unica vera crepa nel monolitico regime sovietico in Ucraina venne dalla catastrofe nucleare di Chernobil nel 1986. Il vergognoso occultamento della verità, ammessa solo dopo le reazioni in Occidente per la famosa “nuvola” di radioattività che minacciava tutta l'Europa, provocò la nascita dei primi veri movimenti di opposizione nel paese.
Tre erano le questioni fondamentali poste dai contestatori del regime comunista: l'indipendenza da Mosca; la libertà religiosa; il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Queste tre istanze riflettevano le diverse anime dell'Ucraina, e ancora oggi costituiscono fattori di alleanza o di divisione in una scena politica assai confusa.
Il nazionalismo ucraino è nato e si è radicato soprattutto nelle regioni occidentali e nelle città. La sua roccaforte era e resta Leopoli, dove è forte l'influenza storica della Polonia. Qui i cattolici ucraini (detti anche Uniati, o cattolici di rito orientale) sfidarono apertamente il regime nel 1989, ottenendo insieme agli ortodossi della chiesa autocefala Ucraina (contrapposta al patriarcato di Mosca) il riconoscimento di Gorbaciov. Invece a est del Dnepr, dove la presenza russa è più forte, la protesta fu portata avanti dai minatori e dagli operai, come rivendicazione sociale.
Ma dividere il paese in due (l'ovest più povero e agricolo, antirusso, anticomunista e a maggioranza cattolica; l'est industrializzato e più ricco, amico di Mosca, nostalgico del comunismo e a maggioranza ortodossa) è una schematizzazione tanto facile da risultare falsante. In realtà l'Ucraina non ha saputo fare nessuna scelta netta, né a livello di classe dirigente, né a livello di popolo.
Nella primavera del 1991 il settanta per cento degli elettori ucraini votò “sì” alla proposta di Gornaciov per una federazione rinnovata (nella quale l'Ucraina avrebbe avuto una maggiore autonomia). Durante il colpo di stato di agosto a Mosca, che avrebbe segnato la fine dell'Unione Sovietica, il leader del partito comunista ucraino Kravchuk esitò a prendere posizione. Quando Eltsin ebbe la meglio sui golpisti, il Soviet dell'Ucraina si decise finalmente a proclamare l'indipendenza. E alle elezioni presidenziali di dicembre Kravchuk, nonostante fosse stato l'ultimo leader della repubblica sovietica, venne eletto con una maggioranza schiacciante (62 per cento), favorito dalle divisioni di un'opposizione che schierava ben cinque candidati. Come se non bastasse, il partito comunista ucraino, messo al bando alla fine del '91 (si segue in fotocopia la politica russa), si presenta alle elezioni del '94 e le stravince.
Nel frattempo, Kravchuk ha chiamato un tecnico a capo del governo, Leonid Kuchma. Kuchma è un ingegnere che ha diretto per anni una fabbrica di missili. Come capo del governo deve portare avanti le difficili riforme economiche. E' un uomo pragmatico, deciso, considerato vicino a Mosca, molto più del presidente Kravchuk, che rappresentava l'ala nazionalista all'interno del partito comunista. Alle elezioni presidenziali del '94, arrivano al ballottaggio proprio Kuchma e Kravchuk, il gatto e la volpe: alla fine la spunta Kuchma, e comincia subito una disputa con il parlamento per aumentare i suoi poteri istituzionali, già grandi. Dopo un lungo tira e molla si arriva finalmente all'approvazione della nuova costituzione nel 1996, che accentua il carattere presidenzialista della repubblica .
Fin qui ci si è arrangiati con le vecchie istituzioni sovietiche, con risultati aberranti soprattutto per l'indipendenza della magistratura. Ai tempi dell'URSS infatti, la giustizia era lo strumento al servizio del potere politico per attuare la repressione: il cittadino ucraino ancora oggi si guarda bene dal portare le sue questioni davanti al giudice, e questo aumenta lo spazio per l'illegalità. E sono proprio le questioni giudiziarie a tenere banco, nell'attualità ucraina degli ultimi anni.
La vita politica è più stagnante che mai. Il presidente Kuchma, rieletto nel 1999, domina la situazione e punta decisamente al terzo mandato presidenziale consecutivo. Il partito comunista resta il più forte, per quanto lontano da una maggioranza assoluta. Il resto è una macedonia di partiti che non riescono a formare una coalizione credibile in vista delle elezioni parlamentari del 2002. Anzi, le scissioni si moltiplicano: il Rukh, che guidò l'opposizione democratica alla fine degli anni Ottanta, e che rappresenta l'alternativa più seria, è di fatto diviso in tre fazioni. Si contano poi quattro partiti socialisti, tre socialdemocratici, un secondo partito comunista e svariati gruppi nazionalisti (anche se solo otto partiti hanno superato la soglia di sbarramento del 4 per cento alle ultime elezioni). Poi ci sono i cosiddetti “indipendenti”, che in pratica rappresentano se stessi e il collegio che li ha eletti: sono ben 136 (in pratica la maggioranza relativa) su 450 membri del parlamento, perlopiù uomini d'affari, che hanno soldi per pagarsi le campagne elettorali e sono sempre pronti a cambiare casacca (come gli altri del resto). Alberto Stabile, corrispondente di “Repubblica”, ha calcolato che, dal '98, ci sono già stati 528 passaggi da uno schieramento all'altro. Questi parlamentari sono i veri sostenitori di Kuchma (che non ha un partito alle spalle) e si venderebbero per un compenso che varia dai 10mila ai 30mila dollari, più un “mensile” di due-tremila dollari.
In questa palude, subita passivamente dagli ucraini, è caduto il masso dell'“affare Gongadze”. Georgi Gongadze, di origini georgiane, era un giornalista di 38 anni sconosciuto alle masse, che attaccava gli “oligarchi” con le sue inchieste pubblicate su un sito Internet. Scomparso nel settembre del 2000, è stato ritrovato decapitato qualche mese dopo, e si è capito subito che si trattava di un omicidio “eccellente”. Lo si è capito dalla lentezza della magistratura, che ha fatto di tutto per insabbiare l'inchiesta e archiviare il caso. E quando una guardia del corpo di Kuchma, tal Melnychenko, rifugiato negli Stati Uniti, ha tirato fuori le registrazioni delle minacce del presidente su Gongadze (“Toglietemelo dai piedi...”), l'opposizione ha scatenato la piazza. Lo scontro con le forze dell'ordine è stato particolarmente violento, i manifestanti hanno provato ad attaccare il parlamento. Non si non si era mai visto niente di simile da queste parti, e il caos nella tranquillissima Kiev ha attratto l'attenzione dei “media” occidentali che pensavano ad una rivolta popolare, ad un'insurrezione contro il presidente - tiranno, sul modello di quella che a Belgrado ha cacciato Milosevic. Niente di tutto ciò. Per scuotere davvero gli ucraini ci vuole ben altro. Nel giro di poche settimane è tornata la calma piatta, e forse è meglio così. Perché non è cambiando un presidente, per quanto autoritario, che si cambia una nazione (che oltre tutto quel presidente ha eletto). Come non è pubblicando ogni accusa su Kuchma che si garantisce la libertà di stampa. E' tutto il sistema che va riformato, e soprattutto deve cambiare la mentalità della gente.
Alcuni leader politici sembrano averlo capito, primo fra tutti Viktor Yushenko, ex governatore della Banca centrale ed ex primo ministro, riformatore convinto, che è in testa nei sondaggi politici del momento, e potrebbe rappresentare una valida alternativa a Kuchma alle prossime presidenziali. A guidare le manifestazioni di piazza erano soprattutto Alexander Moroz e Julia Timoshenko. Il primo è il leader dei socialisti, che sono su posizioni appena più moderate dei comunisti in quanto a gestione statale dell'economia e alleanza con la Russia; si è già presentato due volte alle presidenziali, perdendo (l'ultima volta al ballottaggio). Julia Timoshenko è un'oligarca del settore del gas, e il suo piglio manageriale le assicura le simpatie del mondo finanziario occidentale. Ma proviene da un ambiente tanto potente quanto corrotto, e le accuse contro di lei (e contro il marito, arrestato e recentemente rilasciato) si sprecano. La battaglia politica si conduce così: accuse, denunce, rivelazioni. Poche idee e tanta carta bollata (o titoli dei giornali). L'ultimo scandalo, in ordine di tempo, riguarda le rivelazioni su una presunta tangente a Kuchma da parte dell'ex primo ministro Pavel Lazarenko, attualmente negli USA, già accusato di riciclaggio di denaro sporco e arrestato nel '98 perché cercava di entrare in Svizzera con un falso passaporto panamense. Lazarenko è legato alla “Kyivstar”, una delle maggiori compagnie di telefonia mobile in Ucraina. Ancora una volta, la politica sembra essere la continuazione del business con altri mezzi.
Questo è il quadro generale a dieci anni dall'indipendenza. Forse è per questo che non c'è grande entusiasmo nel festeggiare l'indipendenza, nonostante la parata trionfale (dai carri armati ai carri allegorici, dai lanciamissili alle coreografie collettive) e nonostante Kiev sia stata rimessa a nuovo a tempo di record. Si riparte dall'Ucraina con l'ansia di raggiungere il confine, per ritrovare una “normalità” meno apparente e più vera. Il sogno di un'Europa “dall'Atlantico agli Urali” (secondo la definizione di De Gaulle) è ancora lontano. Proprio quanto l'agognata frontiera con l'Ungheria. L'Europa come la intendiamo noi, per ora, si ferma lì.
Cesare Sangalli